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Cari socialisti smemorati
L'Unità
Cari
amici socialisti,
in queste settimane ho preso atto con
stupore e rammarico della vostra ostilità verso i movimenti sorti, in tutto il
Paese, sui temi della legalità e della giustizia. Lo chiedo soprattutto a quei
vostri esponenti, da Enrico Boselli a Ottaviano Del Turco a Roberto Villetti,
con i quali ho maturato nel lavoro parlamentare rapporti di stima: perché
guardare con fastidio, con una punta d'ira perfino, un movimento che ha alla
sua origine valori fondamentali e irrinunciabili non solo della nostra
Costituzione ma di ogni moderna democrazia liberale? La legge è uguale per
tutti; la magistratura è indipendente dal potere politico; nessun uomo di
governo può fermare i processi in cui è imputato abusando del proprio potere;
l'informazione non può essere controllata da chi dovrebbe essere controllato.
Sono tutti princìpi, tutte ovvietà
culturali, che ogni democratico dovrebbe avere a cuore e difendere con forza
nel momento in cui vengano minacciati. Qual è dunque la ragione della vostra
diffidenza? Perché nuovamente, ancora una volta, vi affascinano le accuse di
giustizialismo con tutto l'armamentario semantico che le accompagna? Credo di
saperlo. La giustizia in piazza. La gente intorno ai tribunali. L'immagine di
Di Pietro sulla pensilina del Palavobis. Qualche eccesso polemico, che affonda
nel tempo e chiama aspramente in causa il craxismo. Insomma, una iconografia
approssimativa che dà la sensazione del già visto, che scuote corde affettive e
politiche a loro tempo, e talvolta ingenerosamente, strapazzate. Ma siete
proprio sicuri che quel che accade oggi sia una ripetizione del '92-'93? Beninteso,
non rinnego quella stagione, che non fu solo vicenda giudiziaria, come troppo
spesso si tramanda; ma che fu anche stagione di referendum, di mobilitazioni
civili contro la mafia, di invenzione di una nuova democrazia municipale con
l'elezione diretta dei sindaci, di battaglia politica e culturale per
l'abolizione dell'immunità parlamentare. Certo ebbe eccessi. Presenti a
sinistra. Ma molto (e molto davvero) nella Lega, nella destra, e in
quell'opinione pubblica che, da Vittorio Feltri allo stesso Marcello Pera,
scrisse cose che personalmente non avrei mai firmato neanche allora. Ma oggi?
Non cogliete, oggi, l' assenza di quel filone di qualunquismo ruspante da
cappio o da pena di morte? Non vedete come nessuno chieda condanne e galere ma
come ciascuno voglia solo combattere il principio (feudale, totalmente feudale)
dei potenti "legibus soluti"? Certo, può infastidire la forma, il
girotondo intorno a un tribunale. Personalmente, a quei girotondi, non ho
partecipato per motivazioni che direi istintive: ma questo non mi impedisce di
comprendere come essi siano stati e siano, per chi ci è andato, non espressione
di ostilità verso gli imputati eccellenti bensì difesa -praticata da cittadini
liberi- del principio di una magistratura indipendente, difesa di magistrati
assaltati e dileggiati senza sosta proprio dai vertici delle istituzioni
politiche.
Perché ciò vi infastidisce? Temete forse
che questo possa -ma perché mai dovrebbe- avallare eventuali abusi commessi da
singoli magistrati? A San Giovanni, sabato scorso, avete delegato a
rappresentarvi Luciano Pellicani. Il quale ha attaccato gli
"indignati" con toni a sua volta molto indignati, predicando che con
l'indignazione non si fa politica. Ma i cosiddetti indignati lo sanno bene. E
infatti non vogliono fare politica. Piuttosto rimproverano ai politici (quelli
che si vantano di sapere fare politica) di non fare bene il loro mestiere. E
tuttavia è interessante capire un dettaglio: perché la necessità di questo
attacco frontale contro cittadini che, tutto sommato, si sono presi la briga di
partecipare e dire la propria sul rapporto legalità/democrazia? Napoleone
Colajanni ha parlato addirittura di "ululato" dei girotondi.
Pellicani ci è andato molto vicino.
Ha espresso da un palco autorevole un
dissenso sprezzante e si è poi doluto che la piazza (che non è soggetto muto)
gli abbia a sua volta espresso un dissenso altrettanto radicale (il proprio
dissenso è legittimo e quello altrui è stalinista?). Davvero non capisco perché
dobbiate essere voi a offrire un'immagine distorta, caricaturale e offensiva di
un movimento. Il quale, contrariamente a quel che si dice, non ha proprio
nessuna intenzione di "dare una spallata" al governo o delegare ai
magistrati la rivincita elettorale. Qui davvero, cari amici, si farnetica. Questo
movimento vuole "solo" dire a chi comanda che ci sono limiti oltre i
quali nessun governo, anche se ha dietro la forza del voto, può permettersi di
andare: sono i limiti della democrazia. Varcarli, come ha riconosciuto sul
"Corriere" lo stesso Panebianco, non è la stessa cosa che fare una
politica di destra. Significa, esattamente, compromettere la democrazia.
Vedete, mi sembra strano, direi innaturale per la cultura liberale che vi
conosco, il riservare una ostilità tanto aspra verso gli indignati (ma potremmo
chiamarli i "cittadini attivi", giusto?) e non spendere una parola
contro la polemica sui cattivi maestri, contro chi ha cercato di criminalizzare
i quarantamila del Palavobis, associandone i volti alle immagini di sangue del
terrorismo degli anni settanta. In fondo fu un merito proprio dei socialisti,
alla fine di quel decennio, appoggiare la repressione del partito armato e al
tempo stesso difendere gli spazi del dissenso, impedire che il conflitto
venisse ricondotto, per definizione, all'anticamera del terrorismo. E ora? Ogni
movimento, direi ogni manifestazione, ha i suoi eccessi. Bisogna però sempre
capire se essi ne sono l'essenza o gli estremi polemici. Bastava essere a
piazza Navona, a Firenze, ai girotondi o al Palavobis per capire. Secondo me,
non essendoci, vi siete fatti abbagliare dalle rappresentazioni più stereotipe.
E infine (scusatemi) perché rinunciate a
registrare i successi che le vostre, sì, anche le vostre insistenze, la vostra
sollecitazione, hanno comunque ottenuto in questi anni? Non avete colto, ad
esempio, che nessun magistrato sale sui palchi, che a nessun magistrato si
chiedono adesioni, che nessuna lotta politica viene delegata ai magistrati (e
come potrebbe, poi, la partecipazione di massa essere "delega" ad
altri?), che al Palavobis non c'è stata una celebrazione dell'arresto di
Chiesa, e che la stessa data del 17 febbraio (il celebre "decennale")
è rimasta a Milano assolutamente vuota di manifestazioni? Forse, a pelle, ciò
che accade può non piacervi, può resuscitare sensazioni urticanti. Ma è un po'
come avviene quando sembra di riincontrare vecchi tabù. Si vede un'immagine,
quella immagine; si sente una parola, quella parola, e si equivoca la sostanza.
Come quando negli anni sessanta chi usava la parola "patria" veniva
scambiato irrimediabilmente per un nostalgico del ventennio. Ci volle
Italia-Germania per fare scoprire agli italiani, insieme con la bellezza del
tricolore, che quella parola aveva una autonomia esplosiva e naturale dentro di loro.
La giustizia, la legalità, non sono, cari
amici, sinonimo né di cappio né di forca né di monetine impietose. Per molti
non lo furono neanche dieci anni fa. Oggi non lo sono per la stragrande
maggioranza di chi manifesta. Quelle parole hanno invece il valore che ebbero per
i tanti avvocati socialisti che in tutta Europa, cento e più anni addietro,
fecero le loro battaglie accanto ai deboli, finalmente organizzati, perché
tutti fossero uguali davanti alla legge, scrivendo le pagine più intense e
appassionanti della moderna sociologia del diritto. Per quanto vi possa
sembrare strano, questo movimento sta dentro la vostra storia migliore.
Con amicizia.
mcmellon
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