Girotondi, come dove e perché

L'Unità – Si apre un nuovo week end di
mobilitazioni civili. Il Paese vive diverse consapevolezze insieme. La
sua componente democratico-progressista coglie la voglia dominatrice di
una maggioranza parlamentare che, da sé sola, non si pone limiti su
nessuna prateria su cui si avventuri, si tratti di informazione, di
giustizia, di scuola, di immigrazione o di lavoro. E coglie anche la
forza propria e delle proprie ragioni, finalmente portate in piazza,
all'aperto, fuori dai comunicati stampa e dai salotti televisivi.

La sua
componente di centrodestra coglie invece il peso dei primi prezzi di
credibilità e d'immagine che deve pagare all'alleanza costruita per
vincere le elezioni. Sente scricchiolare – anche se non certo smottare
– il suo consenso e forse ricorda per la prima volta ciò che
l'ubriacatura della vittoria ha fin qui nascosto: di rappresentare cioè
una minoranza del Paese.

L'attacco burla (ma burla fino a un
certo punto) al diritto di satira di Roberto Benigni; l'attacco comico
(ma comico fino a un certo punto) al cantastorie di strada Franco
Trincale, indicato dagli avvocati di Berlusconi come una delle ragioni
che consiglierebbero lo spostamento da Milano del processo Sme; questo
e altro confermano che la questione della democrazia e delle libertà
non è oggi affatto tema peregrino di confronto e di mobilitazione.

Occhi
su Sanremo, dunque. Ma occhi anche per i girotondi intorno alle sedi
Rai di domani e occhio, a pochi chilometri da Sanremo, su Genova. Sì,
Genova, la città doppiamente scempiata a luglio dagli assalti dei Black
bloc e dalla folle repressione lanciata contro una marea di pacifici
manifestanti. Genova dove era stato dato l'ordine di sparare dal
ministro dell'interno in persona, parole sue sempre in persona. Il
comitato cittadino "La legge è uguale per tutti", nato dopo piazza
Navona, ha infatti organizzato per oggi pomeriggio alle 16 una
manifestazione in piazza Caricamento, davanti al porto. Perché a Genova
l'approvazione delle leggi della vergogna d'autunno e poi
l'intromissione del governo in un processo che riguarda il presidente
del Consiglio sono state sentite come un doppio insulto. Insulto al
principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ma insulto,
nel caso specifico, anche pensando alla reiterata bocciatura della
richiesta di una commissione d'inchiesta parlamentare sui fatti di
luglio. Una bocciatura gemella delle leggi della vergogna: perché
esprime il rifiuto del potere di accettare l'esercizio di un controllo
di legalità sui propri atti, pubblici o privati; l'uso del potere per
bloccare la ricerca della verità in tutte le sedi.

Per questo la
manifestazione, che vedrà una ricchissima presenza della società civile
genovese, avrà un significato particolare. Come avrà un significato
particolare il girotondo della domenica successiva intorno alla Rai
cittadina, inizialmente (e incomprensibilmente) esclusa dal novero di
quelle da "abbracciare" con le catene di cittadini, nel timore, che
visti i precedenti di luglio, ne potessero uscire rafforzate le accuse
dal ministro Castelli al movimento, imputato di incubare nuove forme di
violenza o di terrorismo.

Esercizio della democrazia, invece,
nient'altro che esercizio rinnovato della democrazia. Di fronte a
questo si trova oggi la società italiana, disabituata da tempo a una
tale vitalità. Si tratta di una rivolta di ceto medio, come osserva con
un po' di sussiego aristocratico Fausto Bertinotti?

In gran parte
sì. Ceto medio colto. E questa è la sua arma, che oggi, proprio nel
week end della contestazione dell'informazione pubblica (quella che in
due tg su tre ha taciuto della folla scesa per strada a Napoli per la
legalità), merita di essere esplicitata. In queste settimane abbiamo
infatti preso consapevolezza di avere una forza inedita. Manifestazioni
organizzate via posta elettronica, attraverso i link e gli indirizzari
di mondi contigui e comunicanti. Saltando la fatica di rincorrere
estenuati i giornali, magari per ottenere una riga accondiscendente
dentro i "pastoni" che parlano d'altro. La democrazia telematica si è
immediatamente manifestata come democrazia politica. Si è messo in
movimento un mondo di persone istruite, adulte, che rappresenta il
cuore del consumo di prodotti editoriali; e che ha ora propri percorsi
interni e autonomi di comunicazione e di organizzazione. Esso è dunque
in grado di alterare in virtù di sue libere decisioni il mercato
dell'informazione e, conseguentemente, della pubblicità. Di spostare in
forma organizzata quote di consumatori da un quotidiano all'altro, da
una trasmissione tivù all'altra, e di scoraggiare in misura rilevante
le voglie e i calcoli di sudditanza che si sentono nell'aria. Share che
calano, primati che scompaiono, fatturati che scendono, carriere che
sbiadiscono. Come frutto di una decisione perfettamente democratica. La
quale dice questo: se chi ha oggi il potere ci vuole (come ci vuole)
dominare, noi dobbiamo rifiutare i meccanismi del suo dominio; non
contribuire ad assicurare vantaggi a chi ci vuole asservire,
mentalmente e politicamente.

Una decisione limpida, di
affermazione di sé e della propria dignità (che vale anche per la
presenza dei nostri rappresentanti in certe trasmissioni tivù). Nessun
lancio di ortaggi, nessun marinettismo destrorso e intollerante. Una
scelta, invece, tipica di una matura democrazia dei consumatori. Questo
è il potenziale formidabile del movimento che sta nascendo in Italia. I
girotondi non sono perciò pure forme di protesta destinate a esaurirsi
nella giornata o nella parola giocosa e in apparenza pochissimo
politica. Sono un passo, una pedina, di un gioco assai più impegnativo
e totalmente nuovo nella storia dei movimenti. Negli anni ottanta ai
sedicenni del movimento antimafia potevano anche chiudere le porte
della censura in faccia senza temere nulla (se non la crisi di decoro
etico e professionale di decine e decine di giornalisti). Oggi no. Per
ragioni che riguardano la natura del movimento e la nuova tecnologia.
Oggi un'altra forza è possibile.

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