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Il Senato portineria dello studio Previti
L'Unità – Ancora Cirami. Ancora Previti. Ancora la giustizia. Ma
ancora Pera. Sì, mentre in parallelo infuria la polemica sulle incompatibilità
dell'avvocato Pecorella, e mentre irrompe sulla scena il disegno di legge
Pittelli, ultimo ritrovato della Berlusconi Band per spianare definitivamente
la strada all'«ingiusto processo», torniamo di nuovo alla recente, infuocata
vicenda del Senato.
Per guardarla meglio e oltre: poiché ha segnalato una
deriva che, come si capisce ogni giorno di più, coinvolge tutto il sistema
democratico e non può essere archiviata come un pessimo incidente di percorso.
Una volta denunciati il nuovo, spudorato favoritismo verso
il duo Previti-Berlusconi o il comportamento da arbitro Moreno tenuto
nell'occasione da Marcello Pera, occorre cioè anche cogliere nei fatti accaduti
quel che vi è di più sostanzioso, di sistemico direi. È un anno che diversi
osservatori ed esponenti dell'opposizione lo ripetono: le leggi «di favore»,
nel loro interminabile crescendo, disegnano in realtà i tratti di un intero
sistema di diritti e di doveri, abbozzano un nuovo e coerente universo sociale.
Così se con la legge sul falso in bilancio si afferma un'idea di economia e di
mercato; se con le rogatorie (o il rifiuto del mandato di arresto europeo)
vince una precisa idea della cooperazione internazionale; se con il legittimo
sospetto (e con il disegno di legge Pittelli) si impone un'idea generale di
processo e di giustizia; allo stesso modo le cosiddette «forzature» di Pera
portano con sé una specifica visione di Senato, disegnando un'idea di Parlamento
che è del tutto in linea (e come potrebbe essere diversamente?) con quelle idee
di economia, di giustizia e, in fondo, di nuova Costituzione.
L'agonia del Parlamento, questo è il vero senso storico di
ciò che è accaduto a Palazzo Madama tra fine luglio e i primi di agosto.
Un'agonia che è sfociata, la notte della «occupazione» della commissione
Giustizia, nella spontanea protesta di alcuni parlamentari, ribelli all'idea di
essere trattati come «servi di Berlusconi» o «dipendenti dello studio Previti».
Sì, il Nuovo Studio Previti non è stata una metafora polemica, un'immagine
ardita; ma la fedele rappresentazione della funzione primaria alla quale un
ramo del Parlamento è stato applicato, una volta di più, con modi e tempi
fissati secondo finalità e interessi privati mai apertamente dichiarati come in
questa occasione.
Ma perché ciò fosse possibile (ben) altro è stato
consumato. E siccome il diavolo, come è noto, sta nei dettagli, per guardare
«oltre» vale la pena di raccontare la discussa (e politicissima) vicenda degli
emendamenti in commissione; chiedendo al lettore di avere quel briciolo di
pazienza che lo metterà in grado di sapere e di capire fino in fondo che cosa è
accaduto. Davvero dunque, come qualche commentatore ha sostenuto, è stato lì,
sugli emendamenti, che per imperizia dell'opposizione si è persa la battaglia?
Nossignori. Vediamo piuttosto che cosa diceva il «celebre» emendamento
ostruzionistico dell'Ulivo che -a sorpresa- la maggioranza ha fatto proprio per
eliminare a catena decine di emendamenti. Proponeva testualmente di sostituire
il primo dei tre articoli della legge Cirami con questa frasetta: «Nei processi
di merito di secondo grado». Basta? Sì, basta. Una volta approvato
l'emendamento, quello diventava il testo dell'articolo 1. Dunque un
anacoluto, un non senso, un'assurdità. Nemmeno da immaginare, storia
parlamentare alla mano, che esso potesse essere tecnicamente ricevibile in
aula. Eppure…. Eppure la maggioranza era certa che esso, pur così conciato,
sarebbe stato ugualmente accettato. Per essere poi «emendato» in aula.
Ma attenti. Nonostante questo, l'ostruzionismo
dell'opposizione sarebbe potuto continuare per tutta la settimana e costringere
il provvedimento ad andare in aula a settembre. E ce l'avrebbe fatta anche se
la maggioranza avesse praticato il suo ulteriore gioco «a fregare». Il quale
consisteva nel fare successivamente propri sia l'emendamento soppressivo
dell'articolo 2 sia l'emendamento soppressivo dell'articolo 3, così da fare
decadere, di nuovo, tutti gli emendamenti collegati. Vogliamo dunque vedere
quale testo -alla fine- sarebbe giunto in aula se la maggioranza avesse
completato la sua strategia «a fregare» in commissione? Ecco a voi, in versione
integrale, il testo emendato della Cirami: «Nei processi di merito di secondo
grado». Stop, fine. Il suicidio della legge. Un autentico bidone su un foglio
bianco, dal quale ricominciare tutto in aula. Ebbene, chiunque presentasse agli
uffici del Senato, come disegno di legge, sette parole senza senso su un foglio
bianco, se lo vedrebbe respinto e con ogni ragione, visto che il parlamento è
(dovrebbe essere) una cosa seria. Ma la maggioranza quello voleva portare in
aula e quello stava facendo. Domanda: con quale idea del Parlamento? e con
quale garanzia che lo si potesse fare?
Alla fine la scelta è stata, come si sa, diversa. Niente
commissione!, in aula, subito in aula. Il Regolamento non lo consentiva,
neanche questo si poteva fare. Ma ormai basta indire una riunione e verificare
il volere della maggioranza, giusto? Chi predica, anche da sinistra, il
rispetto della volontà della maggioranza, dovrebbe anche ricordare, almeno una
volta, che la dittatura o l'illegalità della maggioranza (do you remember
Tocqueville?) è la negazione della democrazia. E infatti in questa vicenda
è l'idea stessa di parlamento che salta. Perché -ancora un attimo di
attenzione- in aula succede poi una cosa straordinaria: viene presentato il
cosiddetto «superemendamento Carrara», il quale infila tutti gli articoli della
Cirami in un articolo solo (a più commi), così da far cadere (di nuovo) tutti
gli emendamenti agli articoli 2 e 3. Imperizia dell'opposizione? O c'è una
sequenza di violazioni plateali del Regolamento e della Costituzione? Articolo
72 di quest'ultima; articoli 44 e 77 del primo. Con molto altro in aggiunta.
Che dire infatti degli emendamenti che, nella frenesia, sono stati resi
disponibili ai senatori solo dopo l'avvio della discussione in aula?
Disponibili, fra l'altro, in una sola copia per gruppo parlamentare fino al
pomeriggio, e, si noti bene, senza che vi fosse incluso il superemendamento
Carrara (ho conservato come prova documentale la copia pervenuta al mio
gruppo)? Che dire del fatto che quel superemendamento è giunto al dibattito
quando già le opposizioni non avevano più modo di parlare, dato che il
presidente aveva contingentato i tempi (due ore per tutta l'opposizione)? Che
dire, ancora, del fatto che da questi tempi venivano sottratti anche i secondi
impiegati per chiedere la verifica del numero legale, ossia per garantire la
legalità delle votazioni?
Morale, per passare dal dettaglio dei fatti alla teoria
generale. C'è un problema di legalità, di democrazia, di istituzioni
rappresentative, di etica pubblica, ossia di logica sistemica; la stessa,
precisa logica nella quale si inscrivono il progetto di nuova immunità
parlamentare e il «libero menù giudiziario» dell'avvocato Pittelli. Oggi al
Senato può arrivare in aula un foglio in bianco presentato come disegno di
legge. O in alternativa si può azzerare il lavoro delle commissioni e il lavoro
dell'aula, presentare a fine lavori una legge nuova (il Carrara comprende la
Cirami ma la amplia su aspetti fondamentali) e metterla ai voti senza che
nessuno possa parlare. A questo punto, a che serve il Parlamento? Quale è mai
la sua funzione? E dunque: chi difende il prestigio del Senato? Quali
comportamenti sono stati «grotteschi» nella vicenda, quelli di chi celebrava la
disfatta della Costituzione o quelli di chi la denunciava con tutti i mezzi
possibili e legittimi?
La questione purtroppo è di una gravità palmare: oggi al
Senato la legalità, in ossequio a una versione corsara della «democrazia
maggioritaria», non è più garantita. Tutto, come è stato rilevato da Andrea
Manzella o da Franco Bassanini, può essere fatto saltare. Con un cavillo, di
quelli che uccidono il diritto, di quelli che facevano dire a Francesco
Carnelutti maestro del diritto che il personaggio più odioso dei "Promessi
sposi" era non don Rodrigo ma l'Azzeccagarbugli. Oppure può essere fatto
saltare invocando un «precedente». Quei falsi precedenti denunciati da Stefano
Passigli e di nuovo da Andrea Manzella, calati come fendenti dalla presidenza
dell'aula per strozzare in un secondo le procedure della democrazia.
Continuiamo a parlare del resto, di Pecorella e di Pittelli. Ma per non
dimenticare in che gioco stiamo finendo, occorre che la pausa estiva non metta
tra parentesi ciò che abbiamo visto: l'agonia del nostro Parlamento.
mcmellon
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