Cirami, c’è chi non si arrende

L'Unità – Ha senso battersi contro la Cirami al Senato per la
seconda volta? Ha senso farlo sapendo che alla fine comunque la legge passerà?
E davvero tutto il contenzioso si racchiude nella modifica del cosiddetto
«errore tecnico», così da realizzare un ultimo brevissimo passaggio alla Camera
per l'approvazione definitiva?

Sono interrogativi che circolano tra i parlamentari
dell'opposizione, e non solo tra loro. Interrogativi che ora si inquadrano in
un contesto reso più incandescente dall'avvio della requisitoria di Ilda
Boccassini a Milano e dalla aperta dichiarazione di Cesare Previti di puntare
(una rimessione dietro l'altra? onorevole, quale giudice è di suo gradimento?)
a farsi giudicare nemmeno più a Brescia ma a Perugia.

Le risposte possibili sono ovviamente molte, tutte
variamente motivabili. Ci sono infatti considerazioni che riguardano le
strategie politiche, la delicatezza del clima istituzionale, la ripetitività
del dibattito o altro ancora. Ma il primo principio dal quale partire resta
comunque, a mio avviso, quello della rappresentanza parlamentare. In ballo c'è
una legge che ha larghi tratti di incostituzionalità e che oggi dimostra,
sempre di più, fino alla spudoratezza, la propria natura di norma «ad
personam». La maggioranza ribadisce nei dibattiti essere una legge per tutti
gli italiani; e i fatti, ogni giorno di più, spiegano invece che si tratta di
un provvedimento impegnato in una corsa forsennata volta ad annullare o
anticipare specifici provvedimenti di altri (e più competenti) poteri dello
Stato.

L'opinione pubblica nazionale ha dimostrato senza equivoci
di essere stata ferita nella propria coscienza da questa vicenda, che riassume
fino in fondo una specifica – e finora sconosciuta – filosofia di impunità del
potere. Mentre dal suo canto l'Italia che ha votato per i partiti
dell'opposizione (maggioritaria nei numeri, non dimentichiamolo mai) ha chiesto
con forza ai propri rappresentanti di impegnare battaglia fino all'ultimo,
dando vita solo un mese fa a una manifestazione in larga parte spontanea che ha
portato a Roma quasi un milione di persone. Chi siede al Senato ha dunque oggi
il dovere di testimoniare fino in fondo, almeno davanti al «proprio» popolo, ma
anche davanti alla quotidiana storia del Paese, il rifiuto di una legge che
offende il principio costituzionale che la legge sia uguale per tutti. Ci sono
sconfitte (non è stata forse appena ricordata con ogni rispetto, al di là del
regime che l'aveva provocata, quella di El Alamein?) che costruiscono il
prestigio e la credibilità di chi le subisce, quando arrivano al termine di un
impegno coerente contro forze preponderanti (e tali sono per definizione – e
con l'aggiunta del dominio mediatico – quelle della maggioranza).

Vi sono però almeno due elementi di analisi ulteriore da
introdurre nel ragionamento. Il primo è che il testo arrivato dalla Camera non
è un piccolo rifacimento, un semplice maquillage utile a ritoccare la norma.
C'è stato un rimaneggiamento sensibile. Che non sposta di un millimetro la
filosofia dell'impunità che l'ha originato; ma che nei singoli passaggi (si
pensi all'espediente che in teoria dovrebbe evitare la sospensione automatica
del processo di fronte all'istanza di «legittimo sospetto») presenta nuovi
problemi di costituzionalità. Un breve dibattito e via? Si può sul serio dare
la sensazione al Paese che vi siano questioni di costituzionalità che si
sbrigano con una manciata di interventi?

Il secondo elemento finisce anch'esso per toccare profili
costituzionali. E si è posto con nettezza crescente proprio nel corso della
seconda lettura al Senato. Perché è vero che in prima battuta l'incredulità,
l'indignazione per quanto accadeva ha portato a concentrare l'attenzione sulla
natura «ad personam» del provvedimento. Ma in seconda battuta è emerso chiaro
un altro problema, affrontato di petto da molti emendamenti: quello della
possibile limitazione di libertà e diritti costituzionalmente protetti. Se
infatti, come è nel caso dell'istanza Previti, quel che determina il «legittimo
sospetto» sulla sede giudiziaria è l'esercizio – da parte dei cittadini di
quella sede – di fondamentali libertà costituzionali, di stampa, di opinione,
di manifestazione, ne discende che una città che fosse teatro di delitti di
sangue, di grandi e pubbliche ruberie, di violazioni della legalità
democratica, dovrebbe non reagire o reagire in misura irrisoria, fino
all'autocensura, sotto la spada di Damocle dell'annullamento e spostamento del
processo relativo. È un piccolo problema?

Per questo non si può affrontare la nuova Cirami con
atteggiamenti da ordinaria amministrazione o consumando ritualmente l'attività
parlamentare. E per questo il Comitato «La legge è uguale per tutti», che
riunisce decine di deputati e senatori dell'Ulivo, ha promosso per stasera alle
21 a
piazza Navona una grande lezione popolare sulla legge Cirami. Su un palco
attori e attrici (ma anche i cittadini presenti) interrogheranno a rotazione i
parlamentari per chiedere loro, appunto, se sia vero che non vi sono più
problemi di costituzionalità, se sia vero che il processo non si sospende più
automaticamente, se sia vero che verranno meglio garantiti i diritti di tutti i
cittadini, eccetera. Nell'occasione verranno recitati brani di atti
parlamentari. E verrà proiettato il filmato di Marco Paolini, «Odissea 2004»,
effervescente simulazione del futuro processo secondo Cirami. Mentre, sempre
oggi, alle 14,30 un aereo sorvolerà piazza Navona sventolando uno striscione
con su scritto «La legge è uguale per tutti», al quale, da terra, parlamentari
e cittadini risponderanno con un analogo striscione e distribuendo volantini
contro le leggi della vergogna.

Per dire che non ci arrendiamo alla prepotenza. Semmai,
dovremo subirla insieme a tutto il Paese, determinati a difendere sempre e
comunque la legalità e i grandi principi costituzionali. Anche, simbolicamente,
scrivendo quei princìpi nel cielo sopra il Senato.

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