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La guerra spiegata da mio figlio
L'Unità – I
treni, i disobbedienti. La politica e le nuove generazioni, la pace e il senso
comune. Tornai a casa a mezzanotte passata, dopo il consiglio comunale e
un'assemblea con i movimenti milanesi. Tornò anche mio figlio. Il tempo di
incominciare a parlare e giunsero le immagini di un telegiornale. I pacifisti
che bloccavano non so quale treno e le consuete dichiarazioni messe in fila, comicamente
lottizzate come sempre. Rifondazione, comunisti e verdi che difendevano i
manifestanti. Le anime governative che attaccavano. L'opposizione maggiore che
taceva o prendeva le distanze. Mio figlio scoppiò subito per la rabbia. Ma
perché tacciono?, mi chiese. Ma perché non devono dire che fanno bene? Stanno
cercando di impedire la guerra, o no? Perché li devono attaccare, per piacere
agli altri?
E andò subito oltre. Con foga, con
irruenza. Ma che cosa sono Ds e Margherita? Eh, dimmi: a che cosa servono la
Margherita e i Ds? A niente servono. Un ammasso di persone per non dire niente.
L'orgoglio e l'amor proprio risultarono
feriti da subito, inutile negarlo. Che cosa potevo mai rispondergli, gli
enumeravo le battaglie di un anno e mezzo in cui ne abbiamo viste e dovute
inventare di ogni colore? Lui queste cose le sapeva benissimo. Della giustizia,
della Cirami, delle manifestazioni sempre più grandi. Tutto sapeva e aveva
visto. Lui continuava a dirmi "Io ti stimo, lo so quello che hai fatto",
ma capivo perfettamente che la sua rabbia chiamava in causa anche me. E che
ogni volta che incrocia le esigenze o i sentimenti dei giovani, la politica si
muove felpata, non li vede, quei volti e quei corpi, non sa sorridergli, non ne
annusa gli istinti vitali e incontenibili. Gli istinti che ora portavano questo
capo scout che ama i suoi bambini, che dedica loro serate e week end, che
osserva la politica da lontano, ad appassionarsi e infuocarsi come sempre,
quando giunge il momento della pace, del terzo mondo offeso, dei diritti umani
calpestati dagli interessi economici.
Tranquilli, nessun terzomondismo di ritorno. No, mio figlio non sa nemmeno
che cosa sia il cattocomunismo. Ha solo un senso elementare di giustizia che
gli esplode dentro, come già a Genova, quando andò per partecipare e tornò
sconvolto per quel che aveva visto. Genova e ora i treni. Noi politici del
centrosinistra e loro, i giovani "che non fanno più politica", del
"guardiamoci stasera, in questa sala non c'è neanche un giovane", gag
numero sette delle nostre riunioni, con moti di assenso assicurati. Io non mi
sento rappresentato, diceva e ripeteva, metà ira metà disperazione. Io voglio
un governo di sinistra, basta con questa idea del centrosinistra che deve stare
attento, prudentemente attento, a dire dov'è il giusto, questo centrosinistra
sempre muto e che non può parlare. Bravo, gli ribattei seccato a mia volta, e
allora tieniti Berlusconi per dieci anni. Perché così stanno le cose. Se lo
vuoi sconfiggere devi mettere insieme tutto, e ci sono anche quelli che i
blocchi dei treni non li condividono. Sul valore della legalità di fronte alla
guerra senza Onu sapevo già che era proprio inutile spendere ogni parola.
Perciò cercavo di tenere il discorso su un altro piano. Noi non possiamo essere
solo sinistra. Abbiamo delle responsabilità. Noi dobbiamo governare proprio per
evitare le cose che a te non piacciono e che ti fanno male. E allora, insorse
lui, ha ragione Bertinotti. Altre volte proprio no, ma ora è Bertinotti che mi
rappresenta. Almeno lui parla, come a Genova. Gli altri stanno zitti. Non
servono a niente.
Fremevo anch'io, di disagio più che di rabbia. C'è una divisione dei ruoli,
ripresi. E anche Bertinotti ci sta dentro, e cerca di trarne il massimo
vantaggio anche lui. Noi se vogliamo tenerci il voto del nostro elettorato non
possiamo seguire i pacifisti su queste forme di lotta, ma come fai a non
capirlo? Ragionamenti ultrapolitici e al tempo stesso nemmeno troppo. Perché se
Rifondazione dovesse mai pesare molto a sinistra, magari grazie alla nostra
inerzia su certe grandi questioni, anche il famoso Ulivo allargato potrebbe
perdere qualche voto. Ma a queste cose non pensai affatto in quel momento. Gli
dissi solo: ma che cosa stai dicendo, non lo sai che c'è mezzo Ds che su questi
temi la pensa come Rifondazione e i verdi, che nella Margherita siamo in tanti
a capire, almeno a capire, le lotte dei pacifisti? La risposta fu senz'appello.
Ma per favore, ma per favore, per me i Ds sono Fassino e D'Alema. E la
Margherita è Rutelli. Restai disorientato. Ma che dici, perché non ti leggi i
giornali?, feci io praticamente annullato da quella identificazione assoluta,
via la Bindi, via Realacci, via la Magistrelli o me stesso. Leggili – i
giornali – e impara, invece di parlare a vanvera.
La frittata all'una e passa di notte era fatta. Ah bene, è questo il
dialogo. "Impara" mi sai dire, questo adesso è il tuo modo di
ragionare. Se ne andò in camera da letto, visibilmente offeso, alterato,
dolorosamente umiliato. Santo cielo. Mi sembrava di risentire la litania
politica numero tre: "dobbiamo conquistare i giovani". I giovani di
piazza San Giovanni, delle bandiere della pace, i dodicimila del Palavobis o
come si chiama ora – ogni cosa basta pagare e le cambiano il nome – tutti lì a
sentir musica per la pace un lunedì sera. Dobbiamo conquistarli e io non ero
capace neanche di parlare con mio figlio. Che non ha mai messo piede a
un'assemblea politica, che ce l'ha con quelli che masticano e rimasticano
ideologie di sinistra, ma che mostrava, per la seconda volta nella sua vita,
una radicalità sorprendente.
Ero spiazzato. E parlavo a voce alta con mia moglie che lo difendeva. Dicevo
a voce alta che non sopportavo quella sua arroganza proprio perché mi sentisse
dalla sua stanza. Dopo un quarto d'ora aprì la porta e tornò lui in salotto.
C'era qualcosa di grande nel suo tentativo di dialogo, qualcosa di grande,
voglio dire, per quella che è la fisiologia dei rapporti tra padre e figlio.
Voleva farmi capire, lui voleva farmi capire. Si vedeva che comprimeva i toni,
per non mettersi contro di me, che schiacciava la rabbia con cui avrebbe
parlato al mondo se il mondo glielo avesse consentito.
Iniziò quasi un monologo inarrestabile. Fino alle tre del mattino, titolo i
giovani e la politica oggi, tutto quello che i partiti non sanno o non
capiscono. Te lo ripeto, iniziò, io ti stimo, lo so che cosa fai, io voto le
persone. Ho votato Rifondazione come ho votato te, come ho votato Basilio Rizzo
al Comune. Forse tu hai ragione. Ma tu me l'hai sempre detto, sin da piccolo, che
quello che apprezzavi era il mio senso della giustizia. Dicevi con orgoglio che
era spiccatissimo. E io penso di averlo davvero, per questo io non li voglio
accettare i compromessi. Magari tu li devi fare, ma io perché? Io ho
ventiquattro anni, posso almeno a questa età sognare un governo di sinistra,
desiderare di essere rappresentato, posso? Anche tu alla mia età eri così, o
no? Ma ti rendi conto di quello che sta succedendo? Uno è più potente di tutti
e decide per tutti che si fa la guerra. Poi ti porta le armi in casa tua. E a
questo punto piazzò l'esempio: è come se i Piattelli che stanno a pianterreno
decidessero di ammazzare il generale Cusone che sta qua sopra. E per farlo
attraversassero con le armi addosso casa nostra. Tu cosa gli diresti? Fuori di
qui, gli diresti. Ecco, io non sopporto che qualcuno comandi a casa mia. Io non
ne posso più di queste ingiustizie. Di uno che con i dollari e con le armi
decide tutto. Con la gente che muore di fame, i brevetti eterni sui medicinali
contro l'Aids, e ora anche i brevetti sui prodotti dell'agricoltura. Fece anche
cenno al suo esame di Diritto internazionale, che stava preparando. Ma ti
sembra normale, domandò, che il Fondo monetario faccia e disfi per tutti, mandi
in rovina i più poveri, e decida sempre in base al principio che lì conta di
più chi mette più soldi? Dimmelo: è questa la cooperazione internazionale?
Le ingiustizie, pensai, le ingiustizie del mondo. Gli dissi che il mondo è
pieno di tragedie e di ingiustizie, che noi come famiglia ne sapevamo ben
qualcosa; non so perché – non certo perché lui sia scout – mi venne anche per
la prima volta una limpida reminiscenza da chierichetto e stupendomi di me
stesso gli chiesi: ma te lo ricordi quel riferimento a "questa valle di
lacrime" nel "Salve o Regina"? Il mondo è davvero una valle di lacrime, davvero
la felicità arriva una volta ogni tanto, per piccole o grandi cose, e ogni
volta va presa con la consapevolezza che ce n'è poca. Poi lo so anch'io che
bisogna combatterle lo stesso le ingiustizie, però sapendo che non sei tu che
le elimini durante la tua vita. Almeno, io ho imparato questo. Sarà così, ma io
non lo sopporto lo stesso, mi replicò. Faticava, e si vedeva, a tenere tutto
ordinato nella parola, la camicia fuori dai jeans, quasi piegato in avanti per
dire meglio, per tenere in equilibrio rabbia e rispetto. Questi (questi sono i
capitalisti, gli americani, le multinazionali, dipende) stanno distruggendo il
mondo, il senso della persona. Seminano l'ideologia del potere, del successo.
Ogni cosa si legava all'altra nella sua accusa, lo sapevo, perché è così nei
giovani. Sapevo che si sarebbe andati dalla guerra giù giù fino ai culi e alle
tette in televisione, perché i ventenni colgono il filo che tiene insieme
l'ideologia della forza e del rimbecillimento. Io, mi spiegò, ai miei ragazzini
gli dico di divertirsi, di essere se stessi, che loro devono essere soprattutto
dei bravi bambini, in pace con la loro coscienza, non devono vincere e battere
gli altri, nella vita si vince e si perde con pari dignità, non devono avere il
culto del successo che poi diventa della sopraffazione. Qua ci stanno togliendo
tutto, perché alla fine sono degli insensati, spogliano tutto di senso.
Ma ti rendi conto?, e qui arrivò la rivelazione. Mi hanno tolto perfino i
mondiali di calcio. I mondiali non ci sono più. Ho sempre sognato di vivere
quello che hai vissuto tu nell'82. Ma non si può, non abbiamo potuto, perché
dovevano essere i mondiali delle multinazionali, che facevano investimenti nei
paesi vergini di calcio. Comprati e venduti i mondiali. Lo sport più bello,
tolto anche quello. Detto da lui, milanista (ahimé) che non perde una partita,
che gioca con una squadra contenta di essere fatta solo di amici e per questo
felicemente predisposta alle sconfitte, significava mi hanno tolto l'anima da
bambino. Nessuno di noi vale più niente, insisté. E invece dobbiamo difendere
il diritto di ogni persona a essere rispettata. Anzi ti comunico quello che
abbiamo deciso stasera. Noi stasera agli scout abbiamo deciso di non accettare
più i cuginetti, gli amici di famiglia, dentro lo stesso gruppo. Perché poi sai
che succede? Che i figli o nipotini della famiglia ricca e conosciuta si
mettono tutti insieme, fanno il loro bel clan che si conoscono da sempre, che
vanno in montagna e al mare insieme, e poi resta il bambino che non ha il suo
clan di famiglia che certo viene con noi, dorme e canta con noi ma alla fine
sotto le stelle si sente solo.
Era un turbinio di riferimenti, di valori. La pace e il calcio, i bimbi
emarginati e i paesi poveri. Un materiale indistinto, che si teneva insieme non
solo nello sforzo fisico e affettivo ma anche in qualche passaggio logico
fulminante. Finché riaprì un quaderno doloroso. Voi non lo capite, come non
avete capito Genova. Obiettai che su Genova, sulla verità per Genova, mi ero
speso e non poco, che avevo fatto sigillare io con un assessore provinciale la
Diaz. Che non c'ero potuto andare i giorni prima, a Genova, perché come facevo
ad andarci con tutte quelle minacce di guerriglia, le promesse di sfondare la
linea rossa, io che sono per la legalità? Che se non ci fosse stata quella
reazione pazzesca della polizia, Genova alla fine sarebbe stata più una
sconfitta che una vittoria per i no o new global, con quelle prove di
guerriglia mimate e fotografate all'Idroscalo di Milano. Stai facendo l'errore
che ho fatto io arrivando a Genova, mi rispose, quando ho visto in
manifestazione quelli con gli scudi vestiti da guerra e mi sembravano esaltati
o esibizionisti. Poi però ho visto anche come polizia e carabinieri caricavano
il corteo. Ormai la discussione era tornata a quasi due anni fa.
E tuttavia proprio Genova, il fatto che avessimo difeso le buone ragioni
della maggioranza pacifica del corteo, che avessimo svolto le inchieste, che
fossimo intervenuti in parlamento, che non avessimo voluto abbandonare
all'oblio quella due giorni di sospensione della legalità, mi consentì di
fargli l'esempio che cercavo. Vedi, gli dissi, quando io militavo nel movimento
studentesco, i partiti della sinistra non stavano con noi. Spesso la cultura, i
libri, gli ideali anche, erano gli stessi. Ma loro non stavano con noi. Perché
c'è una divisione di ruoli tra i movimenti e chi ha responsabilità
istituzionali. Noi a Milano avevamo soprattutto i socialisti, più ancora che i comunisti,
che ci aiutavano, che ci facevano da sponda: la possibilità di fare le
manifestazioni, i giornalisti, gli avvocati se c'era qualche problema. Sì,
replicò, ma ora voi neanche questo fate. Voi dite che quelli dei pacifisti sono
metodi inaccettabili prima ancora di dire che c'è la guerra da evitare. Ma li
senti quando fanno le loro dichiarazioni? Non c'è rispetto per gli ideali di
pace, c'è perfino paura di riconoscerli. Be', gli feci io, lo noti però che
Prodi non vi attacca mai,che anche quando prende le distanze aggiunge sempre
che bisogna capire gli ideali e le motivazioni dei giovani. E a me basterebbe
questo, rispose, e per questo lo rivoterei. Ma la vuoi sapere una cosa? Noi, io
e i miei amici voglio dire, non abbiamo quasi mai fatto riferimento alla Chiesa
o ai preti, anzi, spesso le posizioni ufficiali sul sesso o sull'aborto ci
creavano diffidenza. Ma ormai per noi riferirci ai preti e soprattutto al papa
sta diventando normale, importante. Perché loro parlano. Loro parlano chiaro.
Usano anche la parola "crimine" per la guerra preventiva.
Alle tre tornò a studiare. Io restai sulla poltrona, e mi rivoltai nella
mente, al volo, molte considerazioni. Quelle affettive ve le risparmio. Un paio
di riflessioni politiche però, quelle sì, si impongono ancora a distanza di
giorni. La prima. Non c'è che dire, questo capitalismo (questo, dico, quello
che c'è davvero) deve essere proprio cieco o stupido. Era rimasto praticamente
senza nemici in occidente e con la sua infinita avidità se li è ricreati e moltiplicati
in un pugno di anni. Invece di sfruttare quella che dopo la caduta del Muro
sembrava una vittoria storica e irreversibile, la sta capovolgendo in
delegittimazione morale. Nonostante l'11 settembre. La seconda. Forse però
siamo ciechi anche noi, noi politici, che non vediamo l'immensa radicalità di
questa domanda di pace e di giustizia che ci è cresciuta in casa. Tanto,
tantissimo è cambiato in questi anni. La domanda di legalità dei girotondi non
è affatto la stessa del "Craxi in galera" del '92 o '93. E molti
hanno faticato a capirlo. Così la domanda di pace del 2003 non è affatto la
stessa, tanto più ideologizzata, della guerra del golfo del '91. E anche chi ha
fatto la manifestazione dei tre milioni non ne capisce spesso la profondità, la
nuova forza dirompente. Il suo essere parte del nuovo, grande ciclo culturale
che risponde alla ventata di egoismo e di potenza che ha impazzato con qualche
eccezione per due decenni. E che, ecco il paradosso, ci viene messa in faccia
da una generazione che ci sembrava assente e silenziosa. Una generazione
cresciuta tra spot pubblicitari e morte della partecipazione, ma che neanche i
programmi dominati dal grande padrone televisivo hanno potuto forgiare a
propria somiglianza, così da darci – ma sì – il messaggio sconvolgente che alla
fine il senso dell'uomo è più forte di tutte le tivù messe insieme.
Mio figlio ora è partito per l'America latina. Un mese a imparare, a
girare da solo per raccogliere spunti per la sua sperimentale sociologia del
diritto. Lasciandomi, mi ha regalato "Patagonia Express" di
Sepulveda, lui che non ha mai letto né Pasolini né Calvino. Vuole rivedere i
luoghi dove il cielo è alto e in cui, come ama dire, una donna vale perché è
mamma e non perché mostra culo e tette in tivù. In cui nulla si spreca e dove
se un bimbo urla che il cibo scotta, la mamma non gli dice di sputare fuori
tutto, ma gli fa aprire la bocca e gli soffia dentro. Se ho raccontato tutto
questo, forse, è anche per amore suo, lo ammetto. Ma è soprattutto per amore di
una generazione che, con questi ideali dentro, ha il diritto di essere
rappresentata. Ha il diritto di misurare la distanza tra sogno e realtà; di
vedere se è vero che un altro mondo è possibile.
mcmellon
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