Arroganza e ignoranza

L'Unità – Tra nuove code polemiche
sull'indultino e vecchie smanie totalitarie sulle tivù (la Gasparri prossima
ventura) il Parlamento è andato dunque in vacanza. Ma ha chiuso offrendo una
perla. Una autentica perla. Che è sfuggita alla stampa, vuoi per stanchezza
vuoi, per una congenita tendenza a seguire le Camere con gli occhiali dei
leader di partito.


Forse pochissimi, forse nessuno sa
infatti che la maggioranza sta cercando di fare passare una legge volta a
istituire per l'Italia "il giorno della libertà". Avete capito bene:
il giorno della libertà. Che deve essere diverso dal 25 aprile, giorno della
Liberazione. Un anniversario che il capo del governo, notoriamente, sente così
poco da non presenziare neanche ai festeggiamenti ufficiali indetti dal
presidente della Repubblica. Un anniversario che ricorda troppo -ma che barba
questa Resistenza- il fascismo, la guerra maledetta, l'occupazione nazista, i
partigiani, i comunisti, le lapidi sparse per il paese. Che insomma rinfocola
sentimenti di odio e di divisione, anche se perfino Gianfranco Fini ha dovuto
riconoscere che da lì, da quella data, l'Italia riacquistò la propria libertà.

Ci vuole dunque una festa che metta
l'amore al posto dell'odio. E che poi rimetta in riga i comunisti, altro che
combattenti per la democrazia, altro che comandanti leggendari sulle montagne:
cento milioni di morti sulla coscienza, peggio del nazismo, nemici giurati
delle libertà. Ci vuole una festa, ancora, che trasformi in vangelo civile il
libro nero sul comunismo, con tante belle nuove strenne ed edizioni speciali
per la Mondadori. La maggioranza ha pure individuato la giornata ideale per
celebrare una festa siffatta: il 9 di novembre, ricorrenza della caduta del
muro di Berlino. Sì, la Germania appena vilipesa e sbeffeggiata assunta a
pietra angolare della nostra storia. Le sue feste che diventano nostre, al
contrario delle sue tragedie che ci sono sempre e per definizione estranee (e
che c'entra mai il fascismo con i lager? Noi siamo sempre stati più buoni,
proprio per indole…).

Se l'immaginava (se l'immagina) già
la propria festa, la maggioranza. Magari già per il prossimo autunno. Si vedeva
(si vede) già il suo "Freedom Day", con tripudio di bandierine
americane. Con Ferrara e signora avvolti in stelle e strisce, e rievocazioni
del '56, il Pci che appoggia i carri armati a Budapest, e paginate intere sui
giornali della Real Casa, e metà paginate sugli altri, che mica possono
rischiare di sembrare nostalgici del Muro. E cinquemila manifestanti, quelli
che sono normalmente "un fallimento" per la sinistra, che vengono
ripresi da sotto e in generosi primi piani dalle tivù obbedienti così da
trasformarli in un esercito, l'esercito dell' amore. E poi le domande
insidiose: perché Cofferati non ci viene? E Fassino? E Rutelli? E qualche sano
spirito riformista che si presenta tra gli applausi, che bravo, lui sì che
crede nella libertà, che non ha paura dei giudizi della storia.

Una classica parata da regime, come
purtroppo non è escluso che sia risultata in qualche anno e luogo il 25 aprile.
Con la differenza che il 25 aprile per l'Italia è giorno che simboleggia sangue
di italiani, operai e borghesi, uomini e donne, adulti e ragazzini uccisi per
la nostra libertà nelle loro montagne o città. Storia nostra, che è l'unica e
vera radice delle feste nazionali. Une grande festa posticcia, decisa per legge
e per opportunità politica: questo sarebbe invece un 9 novembre che non ci vide
protagonisti, se è vero che fino a qualche anno prima Silvio Berlusconi (festa
dell'Unità a Milano) magnificava l'amicizia e gli affari, i suoi, con l'Unione
Sovietica mentre Giulio Andreotti (festa dell'Unità di Roma) teorizzava che per
il bene dell'Europa sarebbe stato meglio tenere la Germania divisa in due.

Ma la maggioranza, quella
maggioranza che un giorno vedemmo baciata dalla fortuna che arride ai
vincitori, da un po' di tempo imbrocca male. E per quanto autoritaria e
arrogante, assomiglia sempre meno a Gastone e sempre più a Paperino. Così si
avvia verso una delle sue gaffe più tragicomiche. L'avviso ai naviganti lo ha
dato sarcasticamente l'altra sera in aula un senatore dell'Ulivo, Pierluigi
Petrini. Dopo l'indultino doveva infatti essere approvata la legge istitutiva
del "giorno della libertà". Petrini si è alzato con in mano un libro
di storia. E ha spiegato ai presenti che cosa significhi per gli italiani, per
coloro che dovrebbero festeggiarlo, il 9 di novembre. Il quale nella nostra
storia ha un posto ben preciso. Quel giorno infatti, nel lontano 1926, venne di
fatto soppresso il parlamento. Con un ordine del giorno votato in un clima di
irregolarità procedurali e di intimidazioni fisiche la Camera proclamò la
decadenza dei deputati aventiniani. Espulse cioè gli eletti dell'opposizione
mentre il governo procedeva parallelamente all'arresto dei deputati comunisti.
Tra il delitto Matteotti del 24 e la legge sul Gran Consiglio del fascismo del
'28, il 9 novembre del '26 è, con il discorso di Mussolini del 3 gennaio del
'25, il passaggio centrale della costruzione del regime fascista. E infatti a
esso seguì immediatamente, il tempo di due settimane, l'istituzione del
famigerato Tribunale speciale, detto "per la difesa dello Stato",
incaricato di giudicare i reati politici. Se volete proprio festeggiare una
data anticomunista, ha concluso Petrini, scegliete almeno il 18 aprile. Che è
una data italiana e in cui gli italiani espressero in libere elezioni la
propria volontà.

Non masticano molto di Costituzione
e di storia patria i supporter della Casa delle libertà. E quelli che conoscono
la nostra vicenda nazionale preferiscono, evidentemente, rimuoverne qualche
passaggio. Ma certo ci vuole una bella sfortuna, bisogna ammetterlo, a
scegliere come giorno in cui festeggiare pomposamente "la libertà"
quello in cui, in Italia, vennero soppresse le libertà politiche e da cui
nacque addirittura il tribunale speciale del regime fascista. Diciamolo: in
fondo ha qualcosa di misterioso e di avvincente il fatto che il primo governo a
partecipazione postfascista proponga di festeggiare, in contrapposizione al 25
aprile, proprio il 9 novembre. Quasi un biglietto da visita scivolato
furtivamente giù dalla tasca. Quasi una nostalgia del passato riportata a galla
dall'inconscio dei numeri, un lapsus freudiano che squarcia ogni stendardo di
Fiuggi, ogni futuro fondale allestito da stampa e tivù, con bandiere a stelle e
strisce, per Silvio Berlusconi impaziente di dire solennemente "Siamo
tutti berlinesi". Un grande scenario in bianco e nero che scorrerebbe
silenzioso e drammatico alle spalle di ogni giullare di corte .

Volete sapere come è finita la legge
sul "Freedom Day", messa all'ordine del giorno dopo l'indultino?
Dunque: alla fine della discussione, quelli di An se ne erano andati quasi
tutti verso le vacanze. Quelli di Forza Italia erano presenti in massa, ben
eleganti e freschi di barbiere. Non per festeggiare la legge ma perché avevano
la cena di saluto con Berlusconi. L'opposizione non ha votato. Così è mancato
il numero legale. Si spera vivamente -o è troppo?- che per settembre qualcuno
rifletta sulla clamorosa gaffe. E avverta almeno, in tutta la sua potenza, il
senso del ridicolo che si abbatte implacabile su Paperino. Anche quando siede
(provvisoriamente) sulla poltrona del comando.

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