Cosa Nostra e così sia

L'Unità – Ragazzi sveglia. Ma come:
davvero non avete mai conosciuto un mafioso, non ci siete mai andati a cena,
non l'avete mai ospitato a casa nemmeno come stalliere, non siete mai stati
ospitati in una sua villa, non gli avete mai fatto un prestito né lui ve l'ha
fatto, non ci avete mai concluso un affare piccolo così? Ma che ci state a fare
al mondo? Sveglia ragazzi, perché il mondo non è fatto per le belle statuine e
nemmeno per le anime candide e un po' pirla. Se uno fa l'imprenditore è normale
che finisca per fare affari con chi ha più soldi. Se uno fa il poliziotto è
normale che dia informazioni sulle attività sue e dei suoi colleghi a qualche
boss, se no come fa ad avere qualche confidenza in cambio?

Se uno fa il prete o il frate o
l'abate o la suora è ovvio che vada a trovare un mafioso latitante: chi più di
un assassino ha bisogno della medicina della fede? Se uno fa politica, specie
nelle regioni del sud, è normale che prenda i voti dei mafiosi e non vada
troppo per il sottile, se no come farà a far vincere i suoi ideali? E se uno è
uomo di spettacolo, specie negli Stati Uniti, deve per forza imbattersi nei
mafiosi – lo sanno anche i bambini-, se no alla fine come fa a lavorare?

E vai col liscio. Credete voi che
queste frasi siano satira allo stato puro? Ma no, sono distillate ogni giorno,
sono il pane quotidiano della grande tragicommedia italiana in cui siamo
immersi. La penultima frase, in forma un po' più seriosa, l'ha scritta Piero
Ostellino sul "Corriere" di qualche giorno fa. Un
articolo-provocazione, ha spiegato. Già, come il titolo (poiché l'espressione
non venne usata da Sciascia) sui "professionisti dell'antimafia", sul
"Corriere" da lui diretto nel 1987. Anche allora una provocazione.
Rileggetevi le ultime, disperate parole pubbliche di Paolo Borsellino sulla
polemica, su come l'aveva vissuta lui, e vi farete un'idea di quanto sia stata
divertente e amabile quella provocazione.

L'ultima frase, invece, l'ha detta
in un'intervista (sempre sul "Corriere") Fabrizio del Noce, direttore
di Raiuno. L'ha detta rispondendo alle polemiche che investono la nomina di
Tony Renis a direttore artistico del festival di Sanremo. Dice del Noce che
vuole le prove delle connivenze di Renis.

Anzi, va al contrattacco. E ricorda
che anche Sinatra, amico di Sam Gimcana, era amico dei Kennedy. Splendido. Non
poteva scegliere esempio migliore. Perché quando John Fitzgerald Kennedy, che
era stato effettivamente sostenuto in campagna elettorale da Sinatra, e perciò
lo aveva invitato ai festeggiamenti della vittoria, si trovò scodellati sulla
stampa i rapporti tra Sinatra e i boss di Cosa Nostra americana e percepì fino
in fondo gli interessi del cantante nelle case da gioco di Las Vegas, non gli
mandò un messaggio di commiato clandestino o complice, né denunciò le
"manovre politiche". Diede solo disposizione al proprio ufficio
stampa di annunciare pubblicamente che Sinatra non avrebbe più potuto mettere
piede alla Casa Bianca; e che la frequentazione pericolosa lì si interrompeva.
Insomma, se Sinatra sta a Renis come Kennedy a Berlusconi, non dovrebbero
esservi dubbi sul modo più ovvio per chiudere questa storia.

In ogni caso, poiché il direttore di
Raiuno fa finta di non capire e di credere che la colpa di Tony Renis sia
quella di tutti gli uomini e di tutte le donne di spettacolo in America, cioè,
testualmente, di essersi "imbattuto in certe persone", ci permettiamo
di proporgli alcune semplici domande, davanti alle quali dovrebbe essere un po'
più difficile fare i finti tonti e ripararsi dietro le "cacce alle
streghe" o dietro i "fini politici". Si gradirebbe dunque
risposta a ciascuna delle seguenti domande.

1) Quanti personaggi dello
spettacolo italiano (non americano) hanno chiesto di ottenere una parte in un
film a un boss mafioso, anzi, a un fondatore dell'anonima assassini, uno di cui
il senatore americano Kefauver dichiarò, come si dice, "in velo
d'ignoranza" (ossia non immaginando che il successivo protettore del
cantante sarebbe stato trent'anni dopo il capo del governo italiano) che
"le sue mani grondano sangue"?

2) Quanti personaggi dello
spettacolo italiano (non americano) sono stati ospitati nella villa della
famiglia mafiosa degli Spatola nell'estate del '79, nella stessa estate in cui
vi è stato ospitato Michele Sindona durante il suo falso rapimento?

3) Quanti personaggi dello
spettacolo italiano o americano sono stati in rapporti con Michele Sindona (per
la giustizia italiana latitante) nelle settimane in cui il finanziere-bancarottiere
ha commissionato l'assassinio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli?

4) Quanti personaggi dello
spettacolo americano hanno dichiarato di essere amici stretti dei membri di una
delle più potenti famiglie di Cosa Nostra (i Gambino) e ne sono stati
abitualmente ospitati in albergo?

5) Quanti personaggi dello
spettacolo italiano o americano sono stati ascoltati dalla magistratura del
loro paese sulle proprie amicizie strette con i mafiosi a ridosso di un
delitto? E, tra questi (se ve ne sono), quanti si sono rifiutati di collaborare
con la giustizia vantandosi anzi successivamente di "non avere
cantato"?

Sono domande rigorosamente fondate
su atti ufficiali o su dichiarazioni dello stesso Tony Renis, che certo nessuno
ha torturato, a suo tempo, affinché le rilasciasse. Sono farina del suo sacco,
non frutto di invenzioni o del Maligno. Difficile che Fabrizio del Noce, o
chiunque al suo posto, sappia fornire risposte convincenti. Altre risposte,
voglio dire, che non siano insulti o aria fritta. Il guaio è che il festival di
Sanremo sembra nascere all'insegna di una precisa, cinica (e non inedita)
ideologia: quella secondo cui bisogna convivere con la mafia. Il
"guaio" opposto (per Tony Renis, Fabrizio del Noce e tutti gli altri)
è che c'è un'Italia che – da decenni – a questa ideologia ha già risposto
"no grazie". Lasciando sul terreno i suoi martiri. Ad alcuni dei
quali questo governo ha dedicato convegni e francobolli. Ricordiamo bene?

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