Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
In difesa di Prodi
L'Unità – L'aveva voluto,
fortissimamente voluto, proprio in vista del semestre europeo. Lo ricordate? Il
lodo Schifani, quel mostro giuridico che lo mandava assolto da ogni reato
compiuto in vita, Silvio Berlusconi l'aveva preteso (e lo aveva ottenuto con il
consenso del Quirinale) per potere tenere alto il nome dell'Italia davanti
all'Europa. Per senso di responsabilità. Perché con il prestigio internazionale
non si può scherzare. Come avrebbe potuto rappresentare, lui italiano, l'Unione
Europea intera, come avrebbe potuto parlare, ricevere, viaggiare, scendere le
scalette degli aerei, passare in rivista, stringere mani in nome e per conto
dell'Europa, se avesse dovuto rispondere dei suoi comportamenti davanti a un
tribunale della Repubblica? Come avrebbe potuto, per attendere alla propria
difesa, sottrarre tempo prezioso agli impegni ciclopici che si accingeva ad assumere?
Come avrebbe potuto lasciare anche solo un'ombra sull'autorevolezza della
carica imminente a causa di qualche sostituto procuratore prevenuto?
Siamo quasi alla fine del fatidico
semestre e anche senza giudici alle calcagna il presidente del Consiglio dei
ministri europeo Silvio Berlusconi presenta un bilancio disastroso. Ci ha
pensato da solo a schiaffeggiare il proprio prestigio. Vuole la prassi che in
genere le cariche cambino le persone, le responsabilizzano, tirino fuori loro
il meglio, tanto da riservare spesso piacevoli sorprese agli osservatori. È
successo il contrario. Il nostro presidente del Consiglio, invece di giocare in
grande la sua parte per l'Italia, l'ha giocata ponendosi al di fuori
dell'Europa. Meglio: rappresentando con le sue parole e con i suoi gesti
un'Europa che non c'è, che vive solo nella sua immaginazione, nella sua cultura
prescolastica e sempre approssimativa. E volgendo questa Europa sgangherata
contro Romano Prodi presidente della Commissione europea. Italia contro Italia,
insomma; proprio lui che pretendeva rispetto per se stesso, che chiedeva
all'opposizione di perdonargli tutto in quanto simbolo unitario del Paese verso
il mondo.
Iniziò in quel modo terrificante,
sotto gli occhi sbigottiti di Prodi ma anche di Gianfranco Fini, strapazzando
la storia dell'Olocausto, facendone oggetto di imbarazzanti battute e
barzellette, verso gli ebrei e il popolo tedesco, mentre si trasformava egli
stesso in vignetta (rivedere le immagini per credere). Prodi tacque. Ma non
bastò il silenzio responsabile in nome delle istituzioni. Perché tutto il
seguito fu coerente con l'esordio. Fino all'incidente sulla Cecenia. Che
incidente non è. Berlusconi (certo, attraverso il filtro originalissimo della
sua cultura personale) è infatti portatore di un'idea di Europa che non ha il
proprio irrinunciabile fondamento nei diritti umani. Perciò, lui alfiere di
un'Europa cristiana, vi propugna l'ingresso più veloce possibile della Turchia,
che sarà musulmana ma ha il pregio di offrire una visione più elastica e meno
integralista (diciamo più «laica»?) di quei diritti. Perciò si è fatto garante
di Putin nello strepitoso, storico exploit di comicità politica che tutti
abbiamo visto: il più anticomunista dei leader europei che garantisce
solennemente, con la sua parola, per le qualità democratiche del più
(sinistramente) comunista dei leader europei. Paradosso che avrebbe ancora una
sua machiavellica suggestione se quello stesso leader non fosse famoso per la
faciloneria e l'incoscienza con cui spende, appunto, la propria parola.
In mezzo a questo disastro si
staglia la figura di Romano Prodi, leader dotato di visione europeista
riconosciuta; al suo attivo l'ingresso nell'euro grazie a una finanziaria che
vide Berlusconi organizzare (fatto unico) l'aventino dell'opposizione. Il quale
Prodi vede, sente le scempiaggini e non insorge, conoscendo il suo uomo e
soprattutto avendo un certo senso del ruolo. E però poi dice quel che egli,
necessariamente, è chiamato a dire. In nome dell'Europa. Ebbene, come sempre le
parti si rovesciano. Insorge Berlusconi. E Prodi viene invitato dalla corte di
Arcore a lasciare la sua carica di presidente della Commissione europea. La
colpa? Avere difeso un'idea politica di Europa che si è fatta faticosamente
strada nei decenni. Per averla difesa, egli sarebbe entrato «in campagna
elettorale». Non sarebbe più super partes. Perché infatti esternare, perché
precisare, quando Berlusconi, in occasione dell'incontro tra Unione europea e
Russia, avrebbe parlato a titolo puramente personale? Uomo sublime: a favore di
Putin e contro i diritti umani in Cecenia «a titolo personale»; ma liberato dai
suoi personalissimi processi nella veste ufficiale di «presidente dell'Europa».
Chiediamocelo. Che cosa avrebbe
dovuto fare Prodi davanti a tanta balordaggine politica? Tacere, chiudersi in
un prudente mutismo e fare credere che quelle baggianate («garantisco io»)
fossero davvero il pensiero dell'Europa? Oppure, con un suo silenzio complice,
ferire ulteriormente il prestigio della politica italiana davanti all'Unione? O
non piuttosto, come ha fatto, difendere l'idea di Europa che egli rappresenta
con tanta più legittimazione più di Berlusconi, visto che in quella posizione
non ci è andato perché fosse il suo «turno», per un cieco automatismo, ma per un
apprezzamento specifico nei confronti della sua persona e della sua capacità di
lavorare alla realizzazione di quell'idea?
In realtà, ancora una volta, il
premier italiano sta usando le istituzioni nella forma più avventurosa. Egli
ricambia la prudente fermezza di Prodi, come sempre, «moderando i toni», ossia
chiedendone le dimissioni, portando nel cortile di casa, dove ritiene di
poterlo gestire alla pari, un conflitto che lo vede in posizione subordinata,
essendo in realtà, quel conflitto (di valori, di cultura) tra l'Unione europea
e lui medesimo. Non conosce il confronto alto, Silvio Berlusconi. Né lo
conoscono i suoi facondi cortigiani. Invece di argomentare – potrebbero pur
provarci – su quella idea ruspante di Europa (vassallaggio atlantico, dentro Turchia
e Russia, Onu fuori dalla porta), si aggrappano all'unico schema mentale che
sanno maneggiare: l'Europa come complotto. Il presidente Prodi come le leggi
antitrust o come il mandato di cattura europeo. Insomma: o è Forcolandia che
aggredisce dall'esterno o è il nemico elettorale di casa propria travestito con
i panni di Bruxelles.
Così volge al termine mestamente la
nostra grande occasione, il nostro declamato semestre europeo. Dopo averlo
usato per sbarazzarsi dei propri giudici, Berlusconi ha preteso di usarlo per
impancarsi a giudice e assolvere a sua volta, dopo gli amici italiani, il nuovo
amico venuto dall'est, l'ospite accolto nelle sue ville come un faraone in
compagnia del maestro Apicella e di Tony Renis. Deve pesargli molto questa
constatazione, ma dovrà farsene una ragione. L'Europa non si costruisce a colpi
di matrimoni e di feste sibarite, magari con qualche veleno pronto per i
nemici, modello Telekom Serbia. Bisogna che qualcuno glielo dica: quell'idea di
Europa e di politica estera, l'Europa delle regge e delle corti, saltò come un
tappo di champagne nel 1789.
mcmellon
Next ArticleCarabinieri