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Al termine di un errore
L'Unità – Che mondo complicato.
Sentii argomentare la prima volta di Stato etico circa vent'anni fa; perché
prima, per polemizzare, si usava dire – dello Stato – che fosse "confessionale"
o addirittura "clericale". "Etico", nella polemica politica, divenne aggettivo
in voga tra i sedicenti "liberal" degli anni Ottanta. Usato allora per
fronteggiare la rivolta dei moralisti e dei "giacobini" (le parole non per caso
fioriscono insieme) davanti alle stragi di mafia e di camorra o al ladrocinio
organizzato.
Si sorprendevano, quei liberal,
della indignazione civile e della domanda crescente di ripristinare decenti
livelli di legalità. Vi coglievano un'idea di Stato etico nella quale essi non
potevano riconoscersi. Meglio il Far West modello mitra e mazzetta, insomma,
piuttosto che esagerare con l'invadenza dello Stato e l'imposizione ad altri
dei propri personalissimi standard morali.
Ora lo Stato etico è comparso sul
serio, brutalmente, nella legge votata dal Parlamento in tema di fecondazione
assistita. E chi ieri non si permetteva di spiegare ai feudatari della politica
che non si ruba e non si uccide (perché, appunto, mica siamo in uno Stato
etico), ora ha il piglio del giustiziere nello spiegare a cittadine e cittadini
come devono – sì, devono – comportarsi nelle loro più intime scelte sessuali e
familiari. D'altronde, aggiunge chi ieri non sentiva nemmeno il fragore dei
kalashnikov, non possiamo continuare a vivere in questo Far West.
Che mondo complicato. Una
maggioranza più larga del previsto ha votato una legge che sa di Stato etico
lontano un miglio, e lo ha fatto in difesa della vita. Quanto alla maggioranza
governativa, lei ha salutato il risultato finale d'aula con una festosa
standing ovation. Quando riesce di difendere meglio la vita umana si ha il
diritto di festeggiare, giusto? Stessa standing ovation, anzi più festosa, la
stessa maggioranza fece in marzo votando la mozione che appoggiava la guerra in
Iraq, la dottrina della guerra preventiva, la morte di migliaia di innocenti.
Si può accettare la morte degli altri, in effetti, per alcune valide ragioni.
Tra cui quella di liberare la loro terra da un dittatore o anche, come nel caso
dell'Afghanistan, da uno Stato etico che detta i suoi princìpi alle donne, a
tutte le donne. Liberare le donne dell'Afghanistan, diceva il premier. Altro
contesto, certo. Ma il principio era quello. In realtà la morte e la vita
ballano nella nostra politica come concetti vuoti, disancorati da qualsiasi
gerarchia di valori, alla mercè di ogni opportunismo o di ogni frenesia
ideologica.
A proposito: pensavo, modestamente e
fallibilmente pensavo, che nella gerarchia dei valori venissero la donna e poi
il feto e poi l'embrione. Non pretendo di essere nel giusto né che tutti la
pensino così. Diciamo però che se mi trovassi a poterlo (e saperlo) fare, in
guerra o in una catastrofe naturale, darei la vita per salvare una donna, mai
per salvare un embrione. Rispetto (con qualche perplessità) chi farebbe il
contrario, e non gli imporrei il mio punto di vista. Ma scopro che da oggi,
sotto tanti aspetti per nulla marginali, per il nostro Stato vengono
obbligatoriamente in ordine decrescente di importanza l'embrione e poi il feto
e poi la donna. Non siamo mica nel Far West. Anche se grazie alla prevalente
natura (economica) delle sanzioni, sarà sempre Far West per i ricchi.
Ho imparato che Giordano Bruno è
bene non perderlo di vista. Senza esagerare, naturalmente, perché il contesto è
diverso, quasi incomparabile. Ma ho sentito usare per la prima volta, e
ripetutamente, l'espressione "uccidere gli embrioni", così da dare
dell'assassina a una donna (e a una coppia) che accetti pratiche procreatrici
dalla riuscita incerta. Ho sentito evocare, ahimé, non dalla maggioranza, lo
scenario di Hiroshima per spiegare che la scienza può fare male e molto male
all'umanità. Ho sentito ipotizzare scenari degni di Frankestein dalla
maggioranza: la madre che fa clonare per disperazione il figlio moribondo o il
padre più portato a insidiare sessualmente la figlia quando questa nasca da
sperma altrui e sia priva dunque di una vera relazione di discendenza. Un
intero mondo mostruoso, dietro l'angolo di una gravidanza attesa per anni.
Che mondo complicato. Perché a
sostenere questa legge abbiamo avuto, sia alla Camera sia al Senato, non solo
reazionarie o reazionari incalliti. Ma anche parlamentari che si sono battuti e
si stanno battendo con generosità riconosciuta sulle questioni del lavoro,
della uguaglianza, della giustizia e della libertà di informazione. E perché ai
vertici delle gerarchie che hanno imposto questa legge e si accingono a tornare
all'assalto della legge sull'aborto sta quel Papa a cui non smetteremo mai di
essere grati per la meravigliosa forza profetica con cui, stanco e sfibrato
nella carne, ha condannato la guerra come "crimine contro l'umanità".
Mondo complicato davvero. Quando,
dopo il crollo del Muro, si sfarinò la Democrazia cristiana, si pensò che nella
politica italiana che scopriva il maggioritario non avremmo più avuto la
tentazione o il rischio di un partito confessionale. E che i cattolici si
sarebbero divisi tra destra e sinistra uniformandosi alle regole di un
bipartitismo laico. È successo l'opposto. E ora è chiaro perché. La Dc, avendo
il monopolio della rappresentanza dei cattolici, sapeva tenere meglio a bada le
gerarchie ecclesiali. Fu un caso raro di monopolio virtuoso. Mentre la
competizione odierna tra cattolici di destra e di sinistra tende a incoraggiare
una folle corsa ad accaparrarsi il consenso di quelle gerarchie, senza più il
filtro della laicità della politica. Fino a potersi dire che corriamo il
rischio, se non ci si ferma in tempo, di avere una società molto più
clericalizzata "senza" la Dc che non "con" la Dc.
Qui sta la sfida, la sfida alta
della politica. La sfida che quest'ultima vicenda parlamentare ha indicato come
la grande assente dalle strategie delle classi dirigenti dei partiti. Perché se
il "mercato" del consenso incrina la laicità dello Stato, ebbene il progetto di
una politica bipolare deve proprio misurarsi con questo storico problema: come
costruire un sistema maggioritario senza Dc, rispettoso delle istanze
cattoliche ma anche della natura liberale dello Stato. È un compito al quale
devono sentirsi impegnate tutte le forze politiche, ma più di ogni altro
proprio quel partito, la Margherita, che ha avuto il coraggio di nascere dalla
fusione di esperienze cattoliche ed esperienze laiche e che nella sua Carta dei
princìpi aveva scolpito senza possibilità di equivoci questo impegno: "Tocca ai
non credenti riconoscere che l'esperienza religiosa, lungi dall'essere un
residuato storico destinato all'estinzione, può rappresentare un fermento che
vivifica la vita democratica; tocca ai credenti riconoscere che le convinzioni
religiose non possono essere imposte per legge a chi non le condivida". Purtroppo
questo principio è uscito strapazzato, e non poco, dalla discussione
parlamentare. Perché far valere in questioni come la fecondazione assistita il
principio di maggioranza (due voti in più o in meno tra i propri parlamentari)
significa abbandonare il ruolo creativo e propositivo della politica, abdicare
al proprio fondamentale ruolo maieutico (nel pensiero, nell'azione) di fronte
alla storia del paese.
Davvero un mondo complicato. Che lo
sarà ancora di più, per il centrosinistra, se quanto è accaduto diventerà non
stimolo e urgenza per trovare forme più alte, felici e impegnative di sintesi
politica ma pretesto per abbandonare il progetto di una lista unitaria per
l'Europa e riandare beatamente ognuno per i fatti propri. Se la Margherita deve
farsi più di altri (ma non da sola) una bella riflessione su quanto è accaduto,
tutti la facciano di fronte a quanto potrebbe accadere se i particolarismi
dovessero di nuovo prevalere. Su quel piano, forse, abbiamo già dato.
mcmellon
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