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La stampa di destra e il richiamo della foresta
L'Unità
– È più forte di loro. Stiamo tutti qui a interrogarci con angoscia su che
cosa ci stia arrivando addosso dalle viscere del mondo e della storia. A
misurare la distanza infinita tra una cultura giuridica che ci ha insegnato che
anche la vita del peggiore assassino è sacra e un mondo che pratica ancora come
millenni fa, su cento altari diversi, il sacrificio umano di esseri innocenti.
A chiederci se non dica il vero quella terribile vignetta di Altan sulla
necessità che a dare le dimissioni sia non questo o quel governo ma "l'umanità"
intera. Loro no. Gli alfieri del plebeismo borghese fiorito nella grassa
Padania di fine secolo non sentono il tormento primo, assoluto, disperato, di
come salvare le due ragazze italiane rapite a Baghdad.
Quelle ragazze che con un affetto
spontaneo ormai tutti chiamiamo le due Simone. Loro, nel dramma, pensano ad
altro. A mettere in guardia dai comunisti che insidiano il potere. A farsi
beffe dei pacifisti. A predicare la divisione tra gli italiani. In nome della
patria perché sono patriottici. E tanto lo sono che non furono offesi o scossi
nemmeno per un momento dai fazzoletti verdi dei ministri che passavano accanto
alle bare ricoperte dal tricolore dei carabinieri di Nassiriya.
Il punto del contendere è noto.
L'opposizione ha fatto una cosa giusta e che un giorno sicuramente qualcuno le
rimprovererà, da sinistra, con malizia. Ha deciso, cioè, che anche con un
governo fortemente ostile, anche con il governo che ha appoggiato la guerra, è
giusto collaborare se lo scopo è quello di salvare le due vite in pericolo.
Questo non implica affatto che l'opposizione cambi – e meno che mai potrebbe
farlo oggi – il suo atteggiamento verso la questione irachena. Né sulla guerra
e sulla sua follia intrisa di menzogna, né sull'immenso vaso di Pandora che con
allegria irresponsabile il nostro governo ha contribuito a scoperchiare
(vogliamo ricordare ancora una volta la standing ovation con cui, al Senato,
nel marzo del 2003, la maggioranza salutò gioiosa la mozione del nostro
sostegno alla guerra contro l'Iraq?).
E tuttavia, pur in questa continuità
di giudizi, ognuno di noi cerca oggi inquietamente di affinare le sue (scarse e
limitate) categorie di analisi. Si interroga, davanti al terrorismo dei
tagliatori di teste, davanti ai sequestratori con tanto di foto segnaletiche
delle vittime sacrificali, se esistano spazi per gli inermi per costruire pace
e diritti nell'Iraq devastato, almeno in queste condizioni. Si interroga sulla
natura fondamentalista e inferocita del terrorismo islamico. Insomma,
accompagna all'angoscia il tentativo di pensare, di guardare avanti, per
riuscire ancora a camminare insieme. Loro, i borghesi ruspanti
dell'anticomunismo padano, no. Felici dei loro maniacali schemi di analisi del
mondo, non si interrogano su nulla. Tranne che su una cosa, a quanto pare:
sulle ragioni peregrine che possono avere portato il governo a chiedere, in
questo frangente, un confronto con l'opposizione. Perché nel confronto tra
maggioranza e minoranza essi vedono non l'impegno doveroso di tutto il Paese
per proteggere la vita di due italiane generose; bensì, in una inopinata e
pericolosa combinazione, il cedimento dell'ala pensante della maggioranza e il
trionfo dei calcoli di potere della minoranza. La quale potrebbe giocare a
Berlusconi il tiro mancino che già una volta i comunisti – sempre loro… –
giocarono alla Dc facendo fronte comune contro il terrorismo rosso e portando
la Balena bianca nella trappola dell'unità nazionale. Insomma, sembra che non
vi siano proprio valori superiori in grado di tenerci insieme tutti, pur nelle
differenze di giudizio sulla guerra.
Alla fine però la spiegazione si fa
largo. Si fa largo, più esattamente, il motivo vero, profondo, per cui non ci
si può unire neanche per una causa drammatica e specifica. Di là, nell'Iraq
devastato, c'è solo terrorismo, anzi, ci sono solo terroristi. Che meritano
(inevitabilmente) i bombardamenti. E amici dei terroristi sono tutti quelli
andati in Iraq per una causa di pace. Per aiutare i feriti, o i bambini
analfabeti, o per realizzare progetti educativi. Come già Enzo Baldoni, ucciso
– così si scrisse – dai suoi amici terroristi. Come anche le due Simone, che
non ricevono trattamento diverso. Sentite qui la chiusura, ancora una volta
beffarda, dell'editoriale apparso ieri su «Libero»: «I terroristi in fondo sono
bravi ragazzi, come ha scritto Simona Pari. Leggete la sua prosa: "Mi dà
tranquillità il rapporto stretto con gli iracheni, i contatti che abbiamo
giorno dopo giorno, questa solidarietà; con il nostro staff ad esempio abbiamo
un rapporto bellissimo".
Già, bellissimo». Capito? La povera
gente frequentata ogni giorno dalle nostre due volontarie viene equiparata in
tutto e per tutto ai terroristi; comprese addirittura le persone del loro
staff, due delle quali stanno anch'esse, in questo preciso momento, rischiando
la vita nelle mani dei terroristi. Né per nulla quello stesso giornale aveva
annunciato il rapimento di Simona Pari e di Simona Torretta addebitandolo –
letteralmente – ai «pacifisti». Il quadro non accetta sfumature di sorta:
terrorismo uguale pacifismo, secondo lo schema descrittivo e interpretativo
applicato da anni anche alle manifestazioni per la pace. E, naturalmente,
sinistra uguale a complicità con il terrorismo.
Ecco perché il dialogo tra i due
fronti politici non è mai possibile, nemmeno nelle emergenze. Esso, in fondo, è
sempre un cavallo di Troia.
E ha tanto meno senso quanto più
nasce intorno all'obiettivo di salvare due amiche dei terroristi. L'odio della
eterna divisione come risorsa fisiologica della politica e del consenso: qui
sta la radice, l'essenza purissima del plebeismo delle classi dirigenti.
Perché plebe e popolo sono due
concetti profondamente, ontologicamente diversi. E perché lo si capisca
contrapporrò al giornalismo ruspante dell'anticomunismo lombardo il
ragionamento della persona della strada che ieri mi ha fermato proprio per
parlare delle tragedie di questi giorni: «Vede», mi ha detto questa persona, di
mestiere portiere di condominio, «io non eleggo un deputato o un senatore
perché tiri fuori dal popolo il peggio; perché lo inciti a odiare o gli indichi
il bastone; a quello ci sa già pensare il popolo e non c'è bisogno di avere
studiato. Io eleggo un deputato o un senatore perché facciano ragionare, perché
mettano pace».
Parole eretiche per il plebeismo
borghese. Al quale non difetta certo l'istruzione formale, ma sì l'ampiezza del
pensiero. Perciò attraversa i drammi della storia vaneggiando senza sosta di
destra e di sinistra e poi di destra e di sinistra e poi ancora di destra e di
sinistra. Mai capace di fermarsi un attimo per dire: ci sono due vite da
salvare. Vite di pacifiste. Pacifiste convinte che questa umanità non si debba
dimettere.
mcmellon
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