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Ciampi e i demolitori della Costituzione
L’Unità – Achtung. Il fuoco cova sotto la cenere. E mica poco. Mentre l’attenzione vola giustamente verso altre e ben più disgraziate aree del pianeta, il messaggio di Ciampi alle Camere si appresta a diventare una clamorosa occasione di scontro per rimodellare i rapporti tra Parlamento e Presidenza della Repubblica. Ossia per modificare abusivamente la Costituzione e le relazioni tra gli organi dello Stato. Per allargare, volendo usare una espressione che piace da matti al ministro Castelli, il fossato tra "Costituzione vigente" e "Costituzione vivente". E sarà bene se l’opposizione arriverà a questo appuntamento avendone compreso in pieno, e in anticipo, il significato e la portata; senza credere troppo ai fine d’anno alla melassa dipinti dalle cronache dell’ennesimo rimpasto governativo.
Che cosa abbia scritto Ciampi nel suo messaggio è arcinoto. La legge che riforma l’ordinamento giudiziario è palesemente incostituzionale su quattro punti, dalle invasioni di campo del ministro della Giustizia allo svuotamento di funzioni del Consiglio superiore della magistratura. In più il modo di legiferare adottato configura anch’esso una violazione della Costituzione. Nel complesso la riforma infrange non un singolo comma, ma ben sei articoli della Costituzione. Cinque del Titolo IV: 101 (i giudici sono soggetti soltanto alla legge); 104 (la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere – corsivo mio); 105 (funzioni del Consiglio superiore della magistratura); 110 (compiti del ministro della Giustizia); 112 (obbligatorietà dell’azione penale). Cinque articoli su tredici, ossia quasi la metà dell’intera parte che la Costituzione riserva alla giustizia. Più l’articolo 72 sulla formazione delle leggi. Il messaggio demolisce insomma l’ispirazione generale della nuova normativa. Anche perché, come è risaputo, esso non può che indicare i punti di palese incostituzionalità, visto che su quelli che richiedono una valutazione più accurata la Costituzione rinvia al successivo esame della Corte Costituzionale. È per questo che quando il presidente scrive nel suo messaggio, con responsabile neutralità lessicale, che la norma rappresenta un atto "di grande rilievo costituzionale", non sembra tanto volersi profondere in complimenti verso il legislatore quanto metterlo in guardia circa la portata devastante dell’atto stesso verso la Carta repubblicana.
Ebbene, che cosa sta accadendo in vista del nuovo passaggio parlamentare della legge? Sono in corso grandi, grandissime manovre. E stavolta è il Quirinale, la massima istituzione di garanzia, a trovarsi nel mirino della strategia offensiva della maggioranza. Quanto al modo di legiferare ci ha già pensato il quotidiano della famiglia Berlusconi: tirando in ballo il Ciampi di governo per dirgli che è lui il precedente illustre nella stirpe dei legislatori incostituzionali. Nessun precedente tiene il paragone con gli usi e costumi attuali, naturalmente. Ma l’importante, come sappiamo, è andare all’attacco.
Quanto alla controffensiva sui contenuti, invece, abbiamo avuto alcuni assaggi consistenti. Anzitutto le reazioni di pancia al momento della lettura del messaggio in aula, prima di Natale. In Senato dai banchi di Lega e Forza Italia si sono levati fischi e urla, ed è risuonata più volte, con riferimento al messaggio, la domanda "chi l’ha scritto?". Il presidente eletto da tutti, dunque, è stato trattato come il suo predecessore Scalfaro (ossia con schiamazzi e improperi) appena ha richiamato il governo alla Carta alla quale ha prestato giuramento. Poi sono arrivati i toni compunti del giorno dopo. Sotto la forma rispettosa, però, si annidava la sottile insolenza di chi giurava che si trattasse di quisquilie. Ossia: il capo dello Stato usa lo strumento eccezionale del messaggio per parlarci di cose di poco conto. Il tutto condito dai rimproveri di Berlusconi ai suoi "cretini" che fanno le leggi (ci sta anche questo nel rapporto padronale, evidentemente).
E ora, ora dopo i due giorni postnatalizi in cui il Senato è stato investito, in commissione giustizia, della decisione se rivedere l’impianto della legge o andare a una semplice correzione chirurgica, che cosa si annuncia per il caldo, bollente gennaio parlamentare? Si annuncia un attacco a Ciampi su tutta la linea. Con sapiente (e in parte spontanea) divisione dei compiti. Gli atti parlamentari parlano chiari, anche se il resoconto sintetico non si fa carico – per sua natura – di tutte le espressioni verbali effettivamente pronunciate, che ho trascritto nei miei appunti. Anzitutto si contesta la legittimità costituzionale dello stesso messaggio, il cui senso viene dunque rispedito al mittente. Perché esso esprimerebbe – in forma più spiccia secondo alcuni, più paludata secondo altri – l’esistenza di una "quarta Camera" (qual è la terza, volete sapere? nel linguaggio della maggioranza sarebbe il Csm), costituita dall’asse Presidenza della Repubblica-Corte Costituzionale. Questa quarta Camera, agendo con perfetta sintonia delle sue due componenti, innesca ormai un "cortocircuito istituzionale" con caratteristiche di recidività, "menomando la capacità legislativa del Parlamento". Insomma la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale, attraverso questa attività aggressiva verso il Parlamento, rappresentano esse i veri colpevoli di una violazione della Costituzione e della sovranità popolare. Esse sono la fonte del sopruso. Non il parlamento, non la maggioranza, non il partito di proprietà del premier (con "cretini" annessi) confiscano prerogative costituzionali alla magistratura, al Csm, alla Corte, alla Presidenza della Repubblica. Ma Corte e Capo dello Stato confiscano le prerogative del parlamento. Questa sarà la partita di gennaio. La cui portata – si può dire, almeno tecnicamente? – eversiva sarà addolcita da due tesi anch’esse espresse con una certa organicità nel dibattito della commissione giustizia.
Tesi numero uno. In realtà noi non ce l’abbiamo con Ciampi. Ce l’abbiamo con la magistratura. Meglio, con quei suoi esponenti che hanno scritto il messaggio, prendendo Ciampi in contropiede mentre era in viaggio in Cina. I consulenti, gli uffici del Quirinale: sempre loro, i magistrati (come se non fossero magistrati quelli che hanno scritto la legge…). Loro che si sono cucinati pure il capo dello Stato, ridotto a macchietta subornata o ingannata, quasi una riedizione di re Sciaboletta, che parla di competizione e di investimenti dalla Cina mentre a Roma i suoi uffici mandano alla Camere dei messaggi il cui merito gli sfugge. Tanto che, si argomenta, anche il rilievo sull’articolo 110 (i limiti all’azione del ministro) è infondato in punto di diritto costituzionale.
Tesi numero due. Il messaggio parla di pinzillacchere. L’impianto della legge ha tenuto, si tratta solo di pochi punti. Anzi, ha affermato testualmente il ministro Castelli, "il quarto punto è quello realmente importante". Gli altri, si dovrebbe dedurre, no; non sono "realmente importanti", forse sono bagattelle, certo roba che si tira giù con un colpo di penna o si sostituisce con qualche frase ben costruita. Tanto è vero, dice sempre il ministro, che la norma contestata nel secondo punto del messaggio, quella che istituisce il monitoraggio sui processi (con larvata finalità punitiva verso le procure indisponenti), egli lo ha già tradotto in pratica, lo fa già. E allora il massimo che ci vuole è un bell’intervento circoscritto, di precisione. Ma può mai essere così quando lo stesso ministro si lascia scappare con orgoglio che il merito principale di questa legge è di essere stata fatta "contro il parere della magistratura"? Non di avere abbattuto questo privilegio, non di avere sconfitto quel pregiudizio borbonico; ma di essere stata fatta nel suo insieme "contro il parere della magistratura", la quale per anni non ha fatto altro che appellarsi alla Costituzione?
Ecco perché si apre una fase cruciale per i nostri equilibri istituzionali. Perché la posta è se si deve dare il via libera nei fatti a una nuova "Costituzione vivente". E se in questo paese tutte le autorità di garanzia, anche le più alte, le più simboliche, debbano essere – ed essere trattate – come il prossimo Antitrust. E scusate se è poco.
Nando
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