Rita Borsellino, una donna per la Sicilia

Narcomafie (dicembre 2005) – La cosa peggiore, come sempre, l’ha detta Francesco Cossiga. L’uomo che quando deve parlare di mafia e di antimafia non ti delude mai. Tu ti aspetti che dica una villania, che lanci un insulto, che insinui una malignità. Verso i giudici ragazzini. Verso i giudici di lungo corso. Verso i prefetti uccisi. Verso i familiari delle vittime. Lui c’è, non si tira mai indietro. Stavolta, dopo il trionfo di Rita Borsellino alle primarie siciliane, ha profeticamente rivelato con quel suo “anticonformismo” che lo rende sommamente gradito a chi comanda: c’è la sorella dell’ucciso, poi ci saranno i nipoti dell’ucciso e alla fine il coinquilino dell’ucciso.

Ah, che lucido disprezzo morale! Quanto sciasciano e laico spirito critico… Io credo, personalmente credo – e immagino che sia nelle mie facoltà di cittadino di un paese democratico il crederlo – che tra Rita Borsellino e l’ex presidente della Repubblica ci sia un abisso morale. Di qua una donna che coraggiosamente e generosamente (e dolorosamente) gira il paese da tredici anni per ansia di giustizia, per una voglia insopprimibile di pulizia morale, per offrire testimonianza ai giovani italiani. Che lo fa guardando diritto negli occhi, senza mai un accento di rancore sordo, parlando con dolcezza, regalando l’immagine di un paese che non c’è ma che potrebbe esserci. E che tutto questo fa senza nulla chiedere e nulla guadagnare. E soprattutto senza alcun obbligo che non sia quello morale che le deriva dal vincolo affettivo con una delle più grandi figure di servitori dello Stato della storia repubblicana. Di là, invece, c’è un senatore a vita che del senatore percepisce amabilmente l’indennità e che, diversamente dal suo collega Andreotti (devo dirlo…), viene in aula una volta all’anno occupandosi solo di polemizzare a destra e a manca su ogni materia e privilegiando il gossip da servizi segreti ai compiti propri delle aule parlamentari.

Non so se se fosse questo il modo migliore per iniziare una riflessione sulle primarie siciliane. Ma certo aiuta a scolpire, e limpidamente, la figura di Rita Borsellino nel panorama istituzionale, etico, politico della nazione. E a spiegare perché, di riflesso, decine e decine di migliaia di siciliani onesti e vogliosi di cambiamento abbiano preferito lei. Non, come è stato detto con una scivolata di buon gusto, perché fosse “un santino che cammina”. Ma perché è una donna che si è conquistata stima, fiducia, affetto. Con il suo lavoro da volontaria inesausta e intelligente. Anche se costa fatica mentale, bisognerà rassegnarsi una volta per tutto all’idea che non basta affatto essere parenti di vittime della mafia o del terrorismo per godere della considerazione dei cittadini. Che non basta il cognome ma viene richiesto (e misurato) anche l’ impegno civile. E Rita, mi permetto qui di chiamarla così solo per solidarietà di destino, è oggi una delle figure più moderne tra gli esponenti di quella che si conviene chiamare opinione pubblica. Ha il ruolo che spetterebbe in alcuni stati americani ai leader delle minoranze nere. Ha il carisma dei sognatori terreni, degli umanissimi profeti che disegnano nuovi orizzonti senza promettere miracoli. Anzi, senza promettere null’altro se non il proprio impegno. “Radicale” solo per chi non sa sognare.

E’ lei la candidata giusta per vincere le elezioni regionali, per prendere il voto dei cittadini meno appassionati, di quelle clientele che in Sicilia sono da sempre una parte decisiva dell’elettorato, per conquistare la maggioranza in una regione dove la stessa sinistra (non tutta, per fortuna) ha anche e spesso avanzato la tesi che la lotta alla mafia faccia perdere consensi? Le risposte dettate dal cuore sono già pronte. Ma anche razionalmente qualche riflessione è utile farla.

Una riguarda quella che si chiama la sinistra. La quale, visti i minimi termini a cui si è ridotta in Sicilia, non si capisce quali voti possa ancora perdere a causa di una battaglia antimafia. Forse farebbe bene a condurla in modo totalmente libero, moderno e non strumentale. Come Rita. Con meno simboli di partito e più battaglie concrete. L’altra riflessione riguarda la Margherita, che ha appoggiato -come è noto- la candidatura Latteri puntando sulla necessità di attrarre voti di ceto burocratico e professionale o di strati popolari più sensibili al moderatismo fluido; quello, insomma, che fa transumanza politica in base al vento e alle opportunità (e a volta in base a qualche parola d’ordine azzeccata). Intendiamoci, visti i risultati del duello precedente Cuffaro-Orlando, un po’ di transumanza ci vuole comunque. Eppure io credo che la Sicilia sappia essere terra di sorprese, di grandi ventate morali e culturali, di rapidi capovolgimenti. Lo vidi con la Rete che, sulla base di assunti politici opposti a quelli della vecchia Dc, si prese a Palermo più della metà proprio dell’elettorato di quel partito. Durò nulla. E questa è la mia preoccupazione. Che la ventata di rinnovamento possa di nuovo essere respirata e condivisa nel nome di Rita, per poi ripiegare. Non necessariamente per errori, per inettitudine, ma perché una maggioranza elettorale chiede alla politica, alla fine, cose dannatamente concrete, che rendono più incerto il cammino del rinnovamento. Ma, se devo dire, tra il rischio di vincere includendo già per principio le clientele, e il rischio di vederle emergere dopo uno slancio di riscatto collettivo, preferisco il secondo. Nella immanità dello sforzo, è un rischio più “addomesticabile”.

E la possibilità di una sconfitta? C’è, certo che c’è. Ma ormai, razionalmente, non avremo la controprova che con Latteri si sarebbe vinto (o perso). C’è solo da appoggiare una donna eccezionale e meravigliosamente normale al tempo stesso. Una donna per la Sicilia. E per l’Italia.

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