Intervento in rima contro il ddl Pecorella

Quella che segue e’ la dichiarazione di voto del senatore Nando dalla Chiesa, che, in versi, spiega il no della Margherita al disegno di legge sull’inappellabilita’, ennesima legge ad personam per salvare Berlusconi dal processo d’appello Sme.

SENATO DELLA REPUBBLICA
—— XIV LEGISLATURA ——

RESOCONTO SOMMARIO E STENOGRAFICO

GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2006

DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Domando di parlare per dichiarazione di voto.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DALLA CHIESA (Mar-DL-U). Signor Presidente, sul piano della decenza istituzionale nemmeno gli ultimi giorni ci vengono risparmiati. Sembra di essere agli ultimi giorni di Pompei. Anche mentre il Parlamento si avvia verso la sua data di scioglimento noi siamo qui, costretti a varare con tempi contingentati un provvedimento di favore, l’ennesimo, nato dalle vicende giudiziarie del Presidente del Consiglio.

È un fatto che ha in sé qualcosa di scandaloso anche sul piano formale. Guardate il frontespizio del disegno di legge. Pensate. Una legge fatta per il Premier e che porta la firma di un solo deputato, l’onorevole Pecorella, solo lui, ossia il suo avvocato difensore. Credo non ci siano precedenti del genere in nessuna democrazia, sotto nessuna latitudine.

Vede, signor Presidente, i greci parlavano di “Hybris” quando l’idea di giustizia veniva così degradata. Hybris per indicare il concetto di confine, di misura e la sua violazione. Hybris come eccesso di forza, come dismisura. E nella dismisura, diceva Platone, sta l’origine di ogni male.

Aristotele – mi si perdoni la doppia citazione – rendeva il concetto ancor più esplicito: per lui Hybris indicava il fare o il dire qualcosa che costituiva un’ignominia per chi la subisce. Con questa legge, a subire l’ignominia sono, oltre che la dignità del Parlamento, il senso di giustizia del Paese e le vittime dei reati. Hybris divenne poi, nella cultura greca, violazione del limite, addirittura volontà di trascendere la condizione umana, dunque di mettersi al di sopra degli uomini, di rompere – con sacrilegio – il confine che esiste tra gli uomini e gli dei.

Mettersi al di sopra dei mortali: vedete bene come la storia greca ci offra parole che appaiono pensate proprio per i nostri giorni (e d’altra parte c’è una ragione se il discorso sulla democrazia di Pericle recitato da Paolo Rossi è stato censurato dalla RAI; ripeto: Pericle censurato dalla RAI). Hybris proprio per questo, come intreccio di illecito sociale e di illecito religioso.

Quest’ultima, ennesima legge, collocata negli ultimi giorni di legislatura, richiama con potenza plastica quel concetto. Per questo non argomenterò per l’ennesima volta, e inutilmente dei guasti e delle iniquità di questa come delle altre leggi ad personam (questa, poi, più incostituzionale di tutte le altre, anzi incostituzionale in radice), ma interverrò in forma diversa, per esprimere il mio dissenso in modo, infine, più icastico. Un modo inusuale, come inusuale e parossistico è il limite a cui siamo stati portati. Farò un discorso in metrica, del tutto rispettoso delle prescrizioni del nostro Regolamento. Spero che qualcuno dei molti senatori sensibili seduti nei banchi della maggioranza ne ricavi una sia pur leggera situazione di disagio per quanto stiamo approvando.

Bentornati senatori, dalle feste e dai ristori, tutti insieme per votare la gran legge secolare, la più urgente, la più bella, sì, la legge Pecorella. Ma quant’è curioso il mondo, nel suo gran girare in tondo, che fa nascere d’incanto una legge che può tanto. E la scrive un avvocato per salvare il suo imputato, che poi, caso assai moderno, è anche capo del Governo, mentre invece l’avvocato è un potente deputato.
Ah, che idea stupefacente, non si trova un precedente, è un esempio da manuale di cultura occidentale che sa metter le persone sopra la Costituzione. E ora è bello edificante che di voci ne sian tante, di giuristi, ex magistrati, di causidici, avvocati, pronti, intrepidi, a spiegare che la legge è da votare, poiché vuole la dottrina che il diritto su una china più virtuosa scorrerà, se la norma si farà.
Ma pensate che bellezza per un reo, l’aver certezza che se il giudice è impaurito o corrotto o scimunito, potrà dar l’assoluzione senza alcuna sconfessione, che il processo finirà e un macigno calerà sull’accusa dello Stato e su chi subì reato. Che trionfo, che tripudio, e per Silvio che preludio ad una dolce terza età, l’assoluta impunità.
Bentornati senatori, per la fine dei lavori; cinque anni incominciati coi tesori detassati, poi vissuti con amore a far leggi di favore: rogatorie, suspicioni, lodi, falsi e prescrizioni, approvate in frenesia e con gran democrazia, che chi c’è non può parlare e chi è assente può votare. Mentre al pubblico in diretta lui giurava: “Date retta, se non si combina niente sui problemi della gente colpa è di opposizioni, Parlamento e Commissioni!”.
Bravi voi che con tempismo combattete il comunismo, anche se nell’ossessione ce l’aveste una ragione: falsa è di Marx la tesi che lo Stato è dei borghesi; ci insegnaste voi del Polo che lo Stato è di uno solo. Or votando con l’inchino si completi il gran bottino delle leggi personali, questo sconcio senza eguali. Del diritto sia mattanza. Ma l’Italia ne ha abbastanza”.
Bentornati senatori, dalle feste e dai ristori, tutti insieme per votare la gran legge secolare, la più urgente, la più bella, sì, la legge Pecorella. Ma quant’è curioso il mondo, nel suo gran girare in tondo, che fa nascere d’incanto una legge che può tanto. E la scrive un avvocato per salvare il suo imputato, che poi, caso assai moderno, è anche capo del Governo, mentre invece l’avvocato è un potente deputato.
Ah, che idea stupefacente, non si trova un precedente, è un esempio da manuale di cultura occidentale che sa metter le persone sopra la Costituzione. E ora è bello edificante che di voci ne sian tante, di giuristi, ex magistrati, di causidici, avvocati, pronti, intrepidi, a spiegare che la legge è da votare, poiché vuole la dottrina che il diritto su una china più virtuosa scorrerà, se la norma si farà.
Ma pensate che bellezza per un reo, l’aver certezza che se il giudice è impaurito o corrotto o scimunito, potrà dar l’assoluzione senza alcuna sconfessione, che il processo finirà e un macigno calerà sull’accusa dello Stato e su chi subì reato. Che trionfo, che tripudio, e per Silvio che preludio ad una dolce terza età, l’assoluta impunità.
Bentornati senatori, per la fine dei lavori; cinque anni incominciati coi tesori detassati, poi vissuti con amore a far leggi di favore: rogatorie, suspicioni, lodi, falsi e prescrizioni, approvate in frenesia e con gran democrazia, che chi c’è non può parlare e chi è assente può votare. Mentre al pubblico in diretta lui giurava: “Date retta, se non si combina niente sui problemi della gente colpa è di opposizioni, Parlamento e Commissioni!”.
Bravi voi che con tempismo combattete il comunismo, anche se nell’ossessione ce l’aveste una ragione: falsa è di Marx la tesi che lo Stato è dei borghesi; ci insegnaste voi del Polo che lo Stato è di uno solo. Or votando con l’inchino si completi il gran bottino delle leggi personali, questo sconcio senza eguali. Del diritto sia mattanza. Ma l’Italia ne ha abbastanza”.

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