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Ci vorrebbe un nuovo Pasolini
Avvenimenti (dicembre 2005) – Ci vorrebbe un nuovo Pasolini. Un nuovo Pasolini capace di dire le cose che nessuno piu’ sa dire. Capace di parlare di umanita’ e di antropologia, di civilta’ e di politica, ma anche di sport e di pallone. E capace di usare su ogni fronte la parola che intriga, il pensiero che urtica. Di mettere in difficolta’ le autorita’ costituite ma anche i loro oppositori. Scomodo per tutti finche’ e’ vivo, idolo per tutti dopo che e’ morto.
Serve qualcuno per condannare un mondo che si accinge a vivere ancora una volta il Natale in arrivo con lo spirito pagano di chi nulla sa e nulla vuole sapere: della Natività, della grotta, del Figlio dell’Uomo. Ma che vuole consumi e ancora consumi, il pensiero e l’animo piatti, la gaiezza piu’ piena nel vuoto dello spirito. Serve qualcuno, anche, per condannare senza inchini una religione che pretende di farsi potere temporale, di sopprimere la dimensione spirituale e di ridurla a un catalogo di proibizioni, compresa quello del preservativo nei paesi dove l’Aids ne uccide a milioni. Non mosche, ma esseri umani.
Serve qualcuno per ricordare che il trentaseiesimo anniversario di piazza Fontana consacra l’ingiustizia fatta legge e codici e sentenze. Mentre il vecchio Luigi Passera, con la sua barba bianca che parla delle vittime di allora, ricorda che i familiari sono stati beffati, pagamento delle spese processuali e nessun colpevole. Anzi no, nessun condannato; perche’ i colpevoli alla fine sono comunque venuti fuori: Freda e Ventura senz’altro, con il loro mondo dell’estrema destra veneta guidato dai servizi romani, altro che "deviati", ben protetti dai governi di allora. Tutto questo scritto in sentenza. Adesso, però; adesso che i due neofascisti, già assolti in via definitiva diciotto anni fa, non corrono più alcun rischio di carcere. Serve un Pasolini per dire di nuovo: "Io so. Io so i nomi. Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969". Uno che non si faccia scrupoli di passare per giustizialista o antigarantista se fa funzionare i vincoli e le connessioni della storia oltre le dichiarazioni dei tribunali, se sa andare oltre le loro pavidità e i loro opportunismi, oltre il quieto vivere dei magistrati scrupolosamente attenti agli umori del potere.
Serve un nuovo Pasolini per potere tornare a parlare del calcio come se fosse materia di poeti, come se la sfumatura alta di Rivera e la bella faccia di Alberto Orlando, l’attaccante della Roma che esordì negli anni cinquanta al posto di Nordhal, fossero ingredienti di un meraviglioso romanzo collettivo. Dobbiamo tornare alla franchezza della provocazione e alla immaginazione che solca cielo e mare per ridare un senso a tutto. Per non dovere scoprire a bocca aperta, magari con il manganello in mano, che la Val di Susa non è un’astrazione sulla cartina geografica ma un insieme estremamente concreto di territorio e di comunità, di storia e di popolazioni. Per non dovere scoprire che dietro la pelata di Galliani c’è un concentrato di potere vero, politico, economico, mediatico, mica solo calcistico, che può far male allo sport che più amiamo. Che può portare il pallone a rotolare nell’area di rigore senza geometria ma anche senza fantasia. A rotolare solo assecondando i capricci, ne’ geometrici ne’ fantastici, di chi sa comandare piu’ e meglio. I capricci di chi adora Pasolini. Purche’ rompa il quieto vivere altrui. Altrimenti e’ solo un impiccione. Meglio, un intellettualoide che rimorchia i ragazzini. Giusto?
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