Storie di boss ministri tribunali giornali intellettuali cittadini

L’Italia entro la quale scorrono le microstorie raccontate nel libro è simbolicamente l’Italia di Andreotti. Non certo nel senso che quest’ultimo l’abbia costruita – magari da solo – così com’è, in ogni suo anfratto.
Ma nel senso che Andreotti come nessun altro ha plasmato, con azioni, omissioni o alleanze, la sostanza del potere nell’Italia del dopoguerra; e questo grazie al fatto che nessuno come lui ha compiutamente rappresentato la cultura politica di questo paese, proprio a partire dalla fondamentale nozione del potere. Al tempo stesso è l’Italia di Andreotti perché è popolata da un complesso intreccio di culture e convenzioni, umori e sentimenti, che è l’humus ideale per esprimere una specifica qualità di governanti. Dentro quest’Italia non tutto è però uguale; non solo per l’esistenza della famosa (o famigerata) "complessità", ma proprio perché vi sono parti in lotta. E’ cioè un’Italia dove si scontrano – in termini di civiltà e di libertà – quelli che per semplificare chiamerò il bene e male; ben distinti concettualmente ma certo molto più in comunicazione materiale tra loro di quanto possa sembrare a prima vista.
La lotta fra questi opposti non ha un andamento stabile. E infatti il libro è una storia, umana e intellettuale, individuale e collettiva, di vittorie e di sconfitte, di speranze, disillusioni e ancora di speranze; è cioè la storia vera di uno scontro tuttora impari. Ho provato a scriverla con il realismo di chi ha spesso vissuto dall’interno la forza dell’avversario ma anche con l’entusiasmo che è comunque giusto e necessario riservare ai propri ideali".

Nando dalla Chiesa, Storie di boss ministri tribunali giornali intellettuali cittadini, Einaudi 1990

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