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Primarie. Una primavera sotto la neve
Nonostante la nevicata, più di ottantamila milanesi hanno deciso di andare a votare. E anche Ferrante ha vinto la sua difficile partita
Europa (31 gennaio 2006) – Questa volta il Generale Inverno è stato battuto. Aveva la veste modesta di una nevicata fuori ordinanza di due giorni, è vero. Ma tanto era bastato per mettere fuori combattimento le strade di Milano, per suscitare in centinaia di migliaia di persone un solo sogno: starsene la domenica in casa a ristorarsi dopo peripezie di ogni tipo tra la neve alta mezzo metro. Insomma: il miraggio del calore domestico. Per questo il fatto che più di ottantamila cittadini milanesi abbiano sentito, nel mezzo del sogno, un soprassalto di coscienza politica e abbiano deciso che comunque era giusto rinunciarvi – almeno in parte – per andare a votare il candidato sindaco di centrosinistra, ha qualcosa di prodigioso. Qualcosa che deve tornare a fare riflettere sulla domanda di democrazia che scorre appena sotto la pelle della nostra vita politica per fuoriuscirne in forme ogni volta sorprendenti in occasione degli appuntamenti cruciali. Qualcosa, ancora, che deve fare riflettere in profondità sul rapporto tra candidature decise dai partiti e loro prestigio e radicamento nel sentire, perfino nell'istinto dei cittadini.
Sono infatti due i grandi protagonisti che hanno battuto il Generale Inverno. Ha vinto anzitutto, in assoluto, la voglia di partecipare. Che sarebbe sbagliato ricondurre e recintare nei confini dell'antiberlusconismo. Il senso degli avvenimenti si legge e si decifra anche attraverso piccoli segnali. E i segnali che sono arrivati dai seggi non parlano di invettive e di rancori. Parlano della quieta serenità di una parte di Milano che ha fatto i conti con la sua storia recente e ha voluto scegliere che carta giocarsi per cambiare il proprio futuro. Avendo presente come la città è stata governata, pardon, amministrata, in questi anni; e avendo ben ferma l'intenzione di indicare nuovi modelli, nuovi valori e nuovi talenti da premiare.
Una partecipazione che non ha obbedito ad alcuno dei luoghi comuni che abbondano nel discorrere quotidiano dell'opposizione. Non facevano in tempo, due o tre militanti, a fare capannello per lamentare che «non ci sono i giovani» e subito arrivavano in fila gruppi di giovani che tornavano o andavano chissadove chiedendo di votare e di firmare per il referendum costituzionale. Non facevano in tempo a dire «li conosciamo tutti» e subito entravano degli sconosciuti, o persone benissimo conosciute ma che mai si sospettava che potessero venire a votare (addirittura cittadini delusi dal centrodestra che volevano votare Ferrante per essere sicuri di trovare dall'altra parte un'alternativa per loro credibile). Non facevano in tempo a dire che «però non riusciamo mai a fare cose allegre» che immediatamente ci si trovava tra le gambe bimbi vestiti da Carnevale che si inseguivano ridendo intorno alle urne. Insomma, questo era popolo, popolo vero; democratico e con tutte le sue sfumature. Che ha scelto, nonostante qualche polemica pre-elettorale di troppo, in un clima di unione e affiatamento, confermato anche al momento dello spoglio delle schede.
Ma ha vinto la sua difficile partita con la neve anche Ferrante, l'ex prefetto che si è dovuto muovere tra mille insidie e pregiudizi. Se la gente è andata a votare è anche perché sentiva che valeva la pena di votarlo. Non si esce di casa in quelle condizioni atmosferiche e logistiche per andare a votare "turandosi il naso". La propaganda sul funzionario senz'anima e magari con vocazioni questurine non ha trovato molti varchi. Perché era la stessa storia milanese del candidato a smentirla. Perché troppi, tra sindacalisti e tramvieri, lavoratori della Scala e operatori sociali, avevano vissuto in diretta (apprezzandolo) il suo metodo e la sua visione del governo delle emergenze e dei conflitti. Perfino dai centri sociali arriva la notizia che l'ex prefetto abbia raccolto voti. A conferma che a volte il rispetto e la tolleranza pagano oltre le ideologie.
Ora la musica cambia. Ora Ferrante può davvero muoversi come il candidato di tutto il centrosinistra, avendo dietro di sé la compattezza di uno schieramento che non avrebbe avuto la stessa unità dietro altri candidati. E ora, di nuovo, si può apprezzare lo sforzo di chi, la Margherita tra questi, ha lavorato perché la tensione polemica che ha attraversato sotto traccia queste primarie non ricadesse sugli elettori, sul popolo dell'Unione; non si trasformasse in un lascito intossicato da recuperare con fatica nei prossimi mesi. Ora davvero Ferrante può proporre a Milano il suo programma, la sua idea di città come l'unico programma, l'unica idea di città alternativi. Ora sta ai partiti, ai movimenti, alle associazioni, ai circuiti civili e professionali, lavorare perché la sua sintesi si irrobustisca. D'ora in poi, sulla spinta di una domenica come quella del 29, Ferrante avrà la forza e il consenso per spendere per intero la sua autonomia. Mentre i partiti che l'hanno sostenuto avranno più ragioni e più doveri per battersi con lui senza risparmio: per dare a Milano l'alternativa che la città ha iniziato a sognare, o forse solo ad accarezzare, da pochi anni. Dopo l'ubriacatura, il buon senso. Dopo i rancori, i progetti condivisi.
Pavlov
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