I pezzi della libertà

l'Unità (2 febbraio 2006) – Di enormità (e di panzane)
ne ha dispensate a gogo. Ma una cosa profonda, profondissima, Silvio
Berlusconi l'altra sera l'ha pur detta. E' stato a proposito della
libertà e dei rischi che essa corre in certi momenti, in certi
contesti. La libertà, ha argomentato con sorprendente lucidità il
presidente del Consiglio, difficilmente si perde tutta d'un pezzo. Più
spesso viene smangiucchiata, logorata e svuotata nel tempo. Un po' per
volta, senza che nessuno se ne accorga. O comunque nel disinteresse dei
molti. Ne togli un po' di qua e nessuno ci fa caso perché ne rimane
sempre molta e i cittadini non è che siano poi abituati a farne un uso
così intensivo. Poi ne togli un altro po' di là, e ancora i cittadini
non se ne accorgono perché, in fondo, è come se tu stessi svaligiando
un solo appartamento su cinquanta in un grande condominio. Poi, quando
i cittadini si sono assuefatti e sono convinti che quella esistente sia
la giusta dose di libertà , gliene togli ancora. E così via, anno dopo
anno. Finché un giorno la gente si accorge che la dose di libertà è
troppo modica. E il giorno dopo che non ce n'è quasi più. Allora c'è
davvero poco da disperarsi e da prendersela con il destino cinico e
baro. Allora è colpa delle nostre scelte.

Colpa di chi sceglie il "comunismo", secondo le argomentazioni del
premier; che in verità da Vespa l'ha messa giù un po' più piatta e
ruspante di come l'abbiamo messa noi. Colpa di chi non vede il pericolo
dietro l'Armata rossa dei giornali, delle scuole, delle università, dei
tribunali, delle cooperative e perfino delle banche. Eppure, per quanto
intriso di paranoia, il ragionamento di Berlusconi va preso alla
lettera. Preso alla lettera e poi rovesciato. Va cioè riferito alla sua
presenza sulla scena politica e istituzionale italiana e allo scempio
di libertà che l'uomo vi sta perpetrando. Già. Ve lo ricordate il
tormentone sul "regime"? Sul regime che non c'era (vero) e che non era
nemmeno alle viste (meno vero) perché esistevano pur sempre un
parlamento, libere elezioni, una stampa autonoma, magistrati
indipendenti eccetera eccetera? Ecco. La discussione va ripresa da lì.
Perché è ovvio che se una democrazia è ricca di forme di libertà, di
modelli di partecipazione, di istituti di garanzia e di contrappesi ben
congegnati, farla a pezzi o prosciugarla senza un colpo di Stato è di
fatto impossibile. Ma eroderla e logorarla lavorando di testa d'ariete
e di dinamite non è, nel lungo periodo, impresa impraticabile. Tanto
meno impraticabile se appunto, dall'altra parte, anziché denunciare con
preoccupazione gli sfondamenti o le voragini, ci si attesta sul
traquillizzante, consolatorio elenco delle libertà che restano. Il
rischio è dunque che, sbuffando e anche divertendoci per le enormità (e
le panzane) di Berlusconi, non mettiamo in guardia l'elettorato da
quello che potrebbe succedere se egli avesse ancora per tutta una
legislatura un uso pieno e arbitrario della maggioranza. Se avesse
ancora il potere di governare e lo esercitasse per altri cinque anni
-nel modo in cui lo ha fatto finora- sul popolo italiano e sulle sue
istituzioni. Perché quel che potrebbe accadere è assai vicino a ciò
che, nelle sue smanie oniriche, il premier annuncia che accadrebbe in
Italia con la vittoria di Prodi e dell'Unione.

Basta guardarsi
intorno per vedere che lo stato delle nostre libertà si è molto ridotto
sotto il comando -ahi, le parole- della "Casa delle libertà" e del suo
leader carismatico. Non c'è bisogno di fare una ricostruzione
sistematica, che pure dovrà essere fatta, di quanto è accaduto in
cinque anni. Basta usare alla rinfusa l'osservatorio di queste ultime
settimane. Giusto ieri, per partire da un esempio minore (si fa per
dire), ho firmato un'interrogazione del senatore Zanda per chiedere
chiarimenti su quattro ferrovieri licenziati (licenziati!, non
"richiamati") da Trenitalia. La colpa: essere andati alla trasmissione
televisiva "Report". Capito? Senza lavoro per avere espresso opinioni
in un paese libero. Se poi passiamo agli esempi istituzionali,
l'inquietudine di certo non si abbassa. Lo scioglimento del parlamento,
già concordato con il Capo dello Stato, è stato rinviato per consentire
al premier di fare i suoi comodi personali. Dice lui per fare leggi
negli interessi dei cittadini. La verità è che ieri il Senato ha chiuso
alle cinque del pomeriggio dopo avere ripetutamente accertato che
mancava il numero legale. Ossia: si tiene aperto il parlamento per
chiuderlo in giornata perché i parlamentari della maggioranza non ci
sono. Ci saranno però la settimana prossima, quando bisognerà approvare
la legge Pecorella, che Berlusconi vuole con ogni mezzo per sfuggire
all'appello del processo Sme. Domanda: c'è più o meno libertà quando si
fa un uso così spudoratamente e totalmente personale del parlamento? E
ancora. Come abbiamo visto tutti, il rinvio dello scioglimento delle
Camere viene usato per andare su radio e tivù senza sosta, ignorando
ogni regola di par condicio. E' più o meno libero un paese che vede il
suo capo del governo monopolizzare il sistema delle comunicazioni di
massa, scegliersi i giornalisti, scegliersi i registi, comportarsi come
un satrapo catodico, fare concioni di due-tre ore al popolo, modello
Fidel Castro, senza nemmeno fare la fatica di stare in piedi su un
palco davanti a un microfono?

E sempre in argomento. Il rinvio
dello scioglimento della Camere è stato ottenuto minacciando sconquassi
istituzionali; ossia forzature sul Quirinale dagli esiti imprevedibili
per gli stessi equilibri democratici. E' più o meno libero un paese in
cui il capo dello Stato viene posto dinanzi ad autentici ricatti da
parte del capo del governo? Il tema del ricatto, tra parentesi, era la
data del voto. Voto che si terrà con un metodo elettorale cambiato in
corsa dalla maggioranza davanti allo spettro di una sconfitta. Quanto è
grande la libertà in un paese in cui la maggioranza si fa e si rifa le
regole secondo la propria convenienza?  Ancora. Sempre il capo del
governo di cui stiamo parlando si è presentato ai vertici della Procura
della Repubblica di Roma per denunciare fatti privi di rilevanza penale
che riguardavano i capi dell'opposizione. Nel frattempo il giornale
della sua famiglia ha acquisito notizie riservate (sempre prive di
rilevanza penale) sul capo del maggiore partito di opposizione e ne ha
fatto oggetto di una campagna stampa da bulldozer. E' libero un paese
in cui il capo del governo, personalmente o con la sua artiglieria
mediatica, cerca di usare le denunce in procura e i pubblici ufficiali
infedeli per colpire l'opposizione?

E non è finita. Perché
siccome i magistrati sono buoni o cattivi a seconda che gli tornino
comodi o scomodi, lo stesso Berlusconi che corre dai giudici romani
attacca frontalmente e pubblicamente, nella sua veste di presidente del
Consiglio, il nuovo procuratore aggiunto di Milano Edmondo Bruti
Liberati. E' libero (e qui la risposta si trova liscia liscia nei
classici del pensiero liberale) un paese in cui il re, o il detentore
del potere politico, attacca in quel modo -per principio e nella
persona- il giudice che potrebbe reggere l'accusa nella procura da
sempre più temuta? Queste sono le cose che ormai bisognerebbe mettere
in fila: a "Porta a Porta" ma anche nei milioni di (assai più efficaci)
porta a porta quotidiani del paese reale.
Perché un fatto è
incontrovertibile. Oggi siamo meno liberi di prima. Berlusconi, senza
che molti ci facessero caso, si è mangiato un pezzo delle nostre
libertà. E, sia pure dal mezzo della sua ossessione, ci sta spiegando a
meraviglia qual è il pericolo. Che a un certo punto ci svegliamo. E che
dopo una lunga, spesso sonnolenta assuefazione scopriamo che della
libertà c'è rimasta la buccia. La polpa se l'è mangiata lui.

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