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Centrosinistra. Chi si fa del male
l’Unità (20 febbraio 2006) – Venghino, venghino, signori. Si accomodino alla grande fiera delle vanità. No, non quella delle balordaggini padane capaci di incendiare mezzo mondo contro l’Italia. Non quella dell’osteria di lotta e di governo che – per fortuna – autorizza comunque l’Unione a garantire "più serietà" agli italiani. Venghino piuttosto alla fiera concorrente. Guardino e stupiscano davanti alla varietà equatoriale delle specie e soprattutto delle più preziose, quelle in estinzione. Si lustrino gli occhi alla vista dei numeri strepitosi del mangiafuoco e del fachiro.
Tendano le orecchie al verso della civetta, ascoltino il canto della danzatrice circassa, la parola in musica che non conosce né regole né spartito d’orchestra. Qui è il grande circo del centrosinistra che ambisce al governo del paese.
Qui troverete e sentirete di tutto. Qui mai è annegato Narciso, né mai si è spenta la voce delle sirene. Qui è il tendone dove gli animali si azzuffano e i clown pure, e pure gli acrobati e perfino le ballerine e i domatori.
Qui pochi amano fare spettacolo insieme. Quasi tutti amano farlo da soli. Non importa loro che la Grande Rappresentazione del dì di festa riesca bene e lo spettatore gradisca e applauda. Importa piuttosto che lo spettatore veda ora colui ora colei più degli altri. E dunque entrano in scena tutti insieme. Ma poi, ricevuta l’ovazione iniziale, nessuno si tiene più per mano. E ognuno fa e dice cose strambe senza badare all’armonia d’insieme. Tira perfino calci ai vicini. Mica per inimicizia, ci mancherebbe. Ma perché lo spettatore lo veda. E magari lo applauda sul momento, salvo provare alla fine una sensazione di sconcerto. O di stizza. O di fastidio.
E ora usciamo pure di metafora, anche pensando alla manifestazione di sabato scorso. Ma quando finirà questa vocazione del centrosinistra al suicidio elettorale? Dice che è il proporzionale, perfida invenzione del signor B. per sfiatare un’alleanza che girava a pieno ritmo nei collegi del maggioritario. Ma dunque l’astuzia, l’intelligenza del signor B. è superiore alla nostra? Ossia, se B. studia una strategia per indebolirci, noi invece di mandargliela orgogliosamente in fumo almeno per metà ci ingegniamo per fargliela riuscire alla perfezione? Recitiamo disciplinatamente la parte che lui ci ha assegnato per poterci battere? Gli serviamo su un piatto d’argento tutto ciò che desidera, come dei perfetti camerieri? Perfino quell’infame "dieci, cento, mille Nassiriya" – abusivo, certo, ma ben sonoro – dietro l’etichetta di una pattuglia parlamentare e di qualche bandiera unionista? Complimenti ragazzi. Che bello fare esattamente quello che il tuo avversario ti chiede di fare. E’ un po’ come sapere che qualcuno ti aspetta sotto il porticato per darti una legnata in testa e passare per il porticato proprio quando e come lui spera. E questa sarebbe la politica di professione? E questa sarebbe la prudenza connaturata con l’arte del governo? E questa sarebbe l’astuzia del perfetto rivoluzionario? E questa sarebbe l’insopprimibile indignazione per come è stato governato il paese in questi cinque anni? Questa l’ansia di liberazione?
Forse, anzi senz’altro, è il caso di essere chiari, drastici. Li avete visti questi cinque anni di Berlusconi al governo? Vi sono piaciuti? Vi siete visti sgretolare davanti agli occhi il senso delle istituzioni e della decenza, l’idea di cultura e di solidarietà? Avete provato qualche malinconia ogni 25 aprile? Vi siete vergognati nel vedere la nostra politica estera fatta di corna e pacche sulle spalle? Avete detto che se continua così cambio cittadinanza (cosa da non fare, si sta e si dà battaglia)? Bene. Allora pensate che questa micidiale esperienza collettiva ce la potevamo risparmiare. E soprattutto pensate che la potevamo risparmiare al Paese. Pensate che il 12 maggio del 2001 la maggioranza degli elettori non votò Berlusconi. Già, proprio così: "non" lo votò. Lo votò invece una minoranza degli elettori. Che diventò maggioranza (facendo di questo gradito dono l’uso che sappiamo) perché la maggioranza vera era divisa per tre. Perché si era certi della sconfitta e ognuno pensò ai fatti suoi, con Rutelli che per mezzo milione di voti non colmò un distacco dato per assolutamente incolmabile da mesi e mesi. Lo sappiamo tutti, vero?, che nessuno degli strateghi di quella divisione ha mai pagato per avere consegnato l’Italia e il destino comune nelle mani di Berlusconi. Lo sappiamo tutti che nessuno di loro ha mai chiesto scusa in pubblico e forse nemmeno in privato. Certo abbiamo imparato che si può perdere una campagna elettorale per la convinzione di averla già persa.
Ma oggi rischiamo di imparare – pur con i sondaggi a favore – che la si può perdere per la convinzione opposta, ossia di averla già vinta. Quella convinzione che nell’ultima parte di legislatura ha portato circa quattrocento persone a vedersi ministro, viceministro o sottosegretario mentre in cinquanta, non di più, facevano funzionare l’opposizione in parlamento. La convinzione che oggi porta molti a credere che l’unico problema sia quello di farsi vedere di più e a qualsiasi costo dallo spettatore. A non sapersi tenere nulla in bocca, nemmeno la battuta più demenziale, come un leghista qualsiasi; a non sapere sospendere nemmeno per un giorno la frenesia della dichiarazione o del comunicato stampa. Certo, la libertà di espressione. Ci mancherebbe. Ma dite un po’: forse che voi mentre attraversate di notte un territorio avverso e pieno di insidie vi mettete a cantare o a dissertare ad alta voce? Ma se so che mi aspettano di notte nella foresta o nella prateria per farmi un agguato, io, nella mia carovana, altro che un parlamentare dell’Unione, ma neanche Socrate faccio parlare, neanche Bruce Springsteen faccio cantare. Responsabilità. Ecco la parola magica. Libertà e responsabilità, d’altronde, è la coppia che il saggio ha sempre predicato e che sempre ha insegnato a tenere in equilibrio.
E allora ognuno si ricordi qual è il primo obiettivo. Motivi per litigare, per mostrarci, per conquistarci l’oscar dell’intransigenza morale, solidaristica, democratica, laica, cattolica, pacifista, ecologista, internazionalista, legalitaria, sindacale, innovativa, riformista, ne possiamo trovare quanti ne vogliamo. Fantasia ne abbiamo. Sensibilità per i temi sociali e letture suggestive anche. Paletti e condizioni da dettare, o bocconi amari da fare inghiottire, sono lì, tutti lì nei nostri capienti archivi mentali. Vogliamo provare? Ecco. Quali leggi volete abrogare subito? Queste due? Non basta. Anzi, perché scegliete proprio queste due? Ce ne sono di più urgenti. E poi, perché solo due? Tutte bisogna abrogarle. Forse che la legge Biagi no? E la legge Moratti no? E la legge sull’ordinamento giudiziario no? E il ritiro dall’Iraq? Che cosa sono questi "tempi tecnici"? Subito bisogna andarsene, non un mese dopo, troppo comodo. Fare come Zapatero, please. E le grandi opere? E perché non alzare subito i contributi previdenziali per gli artigiani? Perché non togliere subito tutti i soldi alle scuole private? E perché non denunciare il Concordato? E il crocifisso? E il gay pride? E la farete una commissione d’inchiesta su questo e su quello? Eh no, questo ce lo dovete dire: per noi è dirimente. Oppure (perché anche questo qualcuno sussurra): e perché poi non si potrebbe candidare un inquisito o un pregiudicato? Che cosa sono queste fole giustizialiste, l’importante non sono le idee politiche?
Intendiamoci. Di tutto è giusto discutere. Né sarà male se qualche provvedimento altamente simbolico verrà effettivamente approvato, come si dice, "nei primi cento giorni". Ma, dovendo decidere come marciare verso le elezioni, davvero così sparpagliati dobbiamo andarci? Meno male (si fa per dire) che c’è Calderoli, che con la sua t-shirt ha strappato il velo su un’intera "cultura di governo". Meno male che gli altri non scherzano. Meno male che c’è quel centrodestra brancaleonesco, schierato a testuggine solo sulle leggi ad personam. Ma non sarebbe meglio, per il 9 aprile, puntare a vincere perché siamo forti e uniti noi? In fondo, delle buone idee le abbiamo tirate fuori, una buona opposizione l’abbiamo fatta, e il nostro popolo merita di più… Perché non ce lo ricordiamo ogni mattina?
Pavlov
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