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Legione straniera
Avvenimenti (gennaio 2006) – Alexandre Gaydamak. Ficcatevi in testa questo nome. Se ce la fate, perché, come si capisce, piomba da fonemi e luoghi lontani. Non qui ma in Inghilterra. Chi è questo Alexandre? Un giovanotto di origini franco-russe pieno di soldi che è stato fotografato in tribuna durante una partita del Portsmouth, squadra di buon prestigio della premier league inglese. E in tribuna egli non se ne stava seduto e contemplativo per semplice diporto, per passione da amatore. Ma perché il Portsmouth lui se lo vuole comprare. Anche se non è inglese? Certo, anche se non è inglese. Oltre Manica, d’altronde, ci si sono abituati. Il presidente straniero più famoso è Roman Abramovich, padrone del mitico Chelsea, magnate russo dalle incerte fortune (e l’idea che Zola lo abbia mollato per tornare al Cagliari mi riempie di gioia e ammirazione). Ma ci sono anche Malcolm Blazer al Manchester, Al Fayed al Fulham, Freddie Shepherd al Newcastle, giusto per citare i più famosi. Un’ intera legione straniera dove si mescolano libanesi e serbi, egiziani e americani. E naturalmente russi. Una legione nata sull’onda della famosa globalizzazione dei mercati e che annulla ogni rapporto tra squadra e città, e addirittura tra squadra e lingua (chiedere referenze a Crespo sull’inglese di Abramovich).
Lo so, c’è da grattarsi la testa per lo sgomento. Prima i calciatori e gli allenatori, poi anche i presidenti. Da noi si sono già visti i mirabili frutti di questi presidenti-turisti. Magari funzionano un paio d’anni, poi però i nodi vengono al pettine. E, attenzione, tutto sommato parliamo ancora di italiani che si spostano all’interno dei confini nazionali. Figuratevi se dovessimo iniziare a mettere la Roma, l’Inter, la Juve, la Fiorentina nelle mani di uno straniero. Dice: magari ne arriva qualcuno meglio degli italiani (e il pensiero vola manigoldo al Milan…). Ma il guaio è che si tratta di una pura ipotesi. Chi verrà da noi cercando una squadra arriverà perché ha molti soldi e, per converso, poco lavoro da fare. Insomma ha soldi che non si capisce come li ha fatti. Per esempio questo Alexandre Gaydamak – ribadisco: ficcatevi in testa il nome – è figlio di un ricco imprenditore che ha accumulato un pedigree giudiziario mozzafiato, indagato com’è per riciclaggio e traffico d’armi in Angola. Accetteranno, gli inglesi, di mettergli in mano un’altra loro squadra? Spero di no, ma non mi faccio illusioni. Perché, come è noto, pecunia non olet. E i tifosi sarebbero pronti a farsi fare fessi dalla promessa di qualche magico acquisto. Allora sarebbero loro i primi a dire che il nuovo arrivato è "uno di noi", che "ama la squadra per davvero e si vede".
Metteteci i luoghi comuni sul calcio che ormai è fatto così, un andirivieni planetario senza radici (e poi ci domandiamo perché in Italia c’è la crisi dei portieri, con i nostri Einstein che ci inondano di Cejas e Carini…), e vedrete che non c’è praticamente argine.
Per fortuna ci stanno pensando i tedeschi a darci una lezione. In Germania non istituiranno frontiere contro gli stranieri. Ma dal prossimo campionato ogni squadra nella propria "rosa" di venticinque giocatori ne dovrà avere almeno dodici formatisi nel club o nelle squadre tedesche. Mica tanto, come pretesa. Ma un minimo vitale resta fissato: in difesa del vivaio, della nazionale e delle tradizioni (il portiere, appunto). Non so se era così difficile arrivarci prima noi. Ma, anche vista la novità, buon anno a tutti.
Pavlov
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