Giornalisti e premier. Le domande che contano

l’Unità (14 marzo 2006) – Ormai è scientifico. Quel che per noi sono le leggi, le regole, il semplice costume della civile creanza, per lui sono gabbie, offese, limiti insopportabili alla sua libertà. Si discuterà e si polemizzerà a lungo sul confronto tra Silvio Berlusconi e Lucia Annunziata di ieri pomeriggio.

E si disquisirà che la giornalista Rai è scivolata lessicalmente su quel "questa è casa mia", anche se è evidente che intendeva dire "questa è la mia trasmissione; dove sono io, per ruolo e professione, a fare le domande". Così come si contesterà che alla fine la sua impuntatura davanti alla minaccia del premier ("mi alzo e me ne vado") abbia assunto un che di eccessivamente insistito.

Ma una cosa è emersa più di tutte, ed è la vera, profonda sostanza dell’incidente. Che abbiamo avuto e abbiamo un capo del governo estraneo a ogni regola delle società occidentali e liberali. Incapace di un vero contraddittorio, di sottoporsi a una vera intervista, cresciuto in un clima di ossequio e di comando, abile a comiziare insultando ma non a ragionare a tono. Un capo del governo che non intende rispondere del suo operato né alla legge né alla stampa. E che quindi, di là, cambia le leggi e, di qua, decide le domande che gli vanno fatte o, più semplicemente, decide di infischiarsene delle domande e di parlare di ciò che preferisce lui, che era poi quel che pretendeva di fare anche ieri dalla Annunziata. Da padrone del paese. Da padrone che si stupisce sinceramente che qualcuno non si inchini al suo cospetto. Pronto a rovesciare l’accusa di comunista (finalmente si è capito il mistero di questa ossessione semantica…) su chiunque non sia alle sue dipendenze, o meglio si opponga, anche timidamente, ai suoi comandi.

Il bello è che la trasmissione sembrava essere partita in discesa, con una interlocutrice, anzi, perfino arrendevole. Il premier si era esibito in pochissimi minuti in una sequenza indimenticabile. Prima la nota leggenda di un tale che si è vantato di avergli sottratto con i brogli elettorali più di un milione e mezzo di voti nel ’96 (domanda a Mimun: domani sera gli può chiedere il nome, per favore? Non dovrebbe avere dimenticato le generalità di uno che ha commesso e dichiarato un reato tanto enorme). Poi, visto che lui non insulta mai nessuno, aveva svillaneggiato Enzo Bianco, presidente del comitato di controllo sui servizi (deve essere quella parolina magica, "controllo", che gli fa perdere la ragione). Quindi aveva affrontato con molta delicatezza la vicenda di Enzo Biagi, a cui, secondo lui, è "convenuto" subire la censura in cambio di un po’ di miliardi (dunque i contribuenti, oltre a dovere rinunciare a un simbolo del giornalismo italiano, hanno pure dovuto finanziare le smanie censorie del capo del governo?). E poi le giunte rosse, le cooperative rosse, la magistratura rossa. Nota a margine: e dicono pure che abbia ingaggiato un cervellone americano per lasciare alla storia questa patetica immagine di se stesso…
D’altronde l’episodio di ieri segue a ruota il dibattito di Matrix con Diliberto. Che già aveva segnalato l’imbarazzo, la fatica, il fastidio epidermico del premier a doversi confrontare (quasi) alla pari con un interlocutore. E che aveva anche consegnato, implicitamente, una sorta di consiglio pubblico (e caldissimo) a chi si presenterà in tivù a fare domande o a confrontarsi in duello con gli esponenti della Casa delle libertà e in particolare con Silvio Berlusconi: preparatevi, preparatevi, preparatevi. Scordatevi di andare in trasmissione con l’infarinata della settimana. Lasciate in solaio la propaganda delle battute a effetto. Studiatevi i dati. Inchiodate alle sue responsabilità chi ha governato, come è giusto che facciano un giornalismo vero e un’opposizione vera.

Che differenza tra il Berlusconi costretto da Diliberto a rimangiarsi la frottola dei libri gratis a scuola e balbettante davanti alle cifre dell’economia, e il Berlusconi straripante di qualche sera prima da Bruno Vespa! Che differenza tra un confronto vero e un raro esemplare di comizio, interrotto due o tre volte dal padrone di casa, per questo accusato con sorriso da feroce saladino di avere cambiato carro. Perciò, dopo ieri, la domanda diventa ancor più obbligatoria. Ma che senso ha inscenare sulla tivù pubblica finte interviste dove una delle due parti può a stento sillabare una domanda per subire una risposta fluviale su tutt’altra materia, perché "è più importante fare sapere agli italiani queste cose, per favore non mi interrompa"? Ma in quale paese civile la campagna elettorale vede questi simulacri di dibattito, che umiliano le nostre autocertificazioni di appartenenza al mondo occidentale e fanno a pezzi la dignità del nostro giornalismo? A questo, in fondo, si è ribellata ieri la Annunziata. Doveva fare come da Vespa?  Lì, lo ricordo a chi non avesse visto la trasmissione, il direttore del "Messaggero" chiede a un certo punto -sacrosanta domanda- perché i giovani debbano credere nell’università consegnata loro dalla Moratti. La risposta del premier? Che i giovani intanto devono credere in molte cose. Poi si vergogna un po’ della risposta e precisa: in molte delle cose realizzate da questo governo. Quindi fa partire uno sproloquio interminabile sulla riforma non dell’università ma…della scuola. Giurando che oggi si fa più inglese di prima, quando tutti sanno che se ne fa di meno. Eppure sembra che nessuno dei tre giornalisti presenti viva in Italia; e infatti nessuno insorge a chiedere di non raccontare fandonie. E infine arriva la garanzia, ribadita a Matrix , che ora i giovani finalmente usciranno a diciotto anni dalla scuola per trovare un lavoro in Italia, in Europa e, se lo vorranno, perfino nel mondo (che notoriamente non comprende l’Europa). Ma naturalmente, precisa sempre il premier da Vespa, questo percorso virtuoso darà i suoi frutti, e quindi i giovani troveranno lavoro, solo tra molti anni. Scoppio di ilarità? Macché, silenzio. Rispettoso (o intimidito) silenzio. Sembrava una gag; e invece era il presidente del consiglio messo a confronto con tre primari giornalisti.

O che dire di quando Berlusconi, sempre sullo scenario di Porta a Porta, dichiara con somma impudenza di non essersi mai giovato delle leggi ad personam? Chiunque obietterebbe: scusi, ma chi ha evitato una condanna certa avvalendosi a razzo della legge sul falso in bilancio? E chi si è intabarrato nel cosiddetto "lodo Schifani"? Chi si presentò dai giudici dicendo "ci vediamo la settimana prossima" sapendo che quello stesso giorno una legge gli avrebbe fatto spiccare il volo verso l’impunità? Nulla. E la legge Pecorella?, gli chiede però Vespa suscitando nuova irritazione. Domanda ultra-legittima, anche perché lo stesso Berlusconi aveva detto ai giornalisti qualche settimana fa che quella legge, voluta dal suo avvocato difensore, sarebbe stata utile anche a lui. Ma ecco il colpo di teatro. Il premier annuncia solennemente ai telespettatori che lui di quella legge non si avvarrà. Come se un cittadino potesse comandare al giudice di non applicargli la legge. Certo, Berlusconi, come sappiamo, pensa esattamente di poterlo fare. Ma nessuno di fronte a quella affermazione scoppia a ridere. Nessuno gli chiede "ma che cosa sta dicendo, presidente?!?". Nessuno ride quando lui "spiega" di avere approfittato dei condoni non per sé ma per le sue aziende.

Davvero siamo condannati a vedere il capo del governo che dice cose da comico venendo preso sul serio sulla tivù di Stato? Ammettiamolo. Sono "interviste" che si svolgono in una specie di vuoto della materia. Dove il Paese, i fatti, i comportamenti, non esistono. Il re del virtuale naviga nel virtuale, tra interlocutori virtuali, ma davanti a telespettatori reali e dunque con conseguenze reali. Per questo, cari interlocutori, preparatevi. E se per i giornalisti il problema è la sudditanza psicologica verso chi possiede metà dell’informazione, si ricordino con un po’ di sano orgoglio di essere, come direbbe Pansa, "i cani da guardia della democrazia". Sfoderino, nella diversità dei ruoli,  il piglio e la documentazione di Diliberto. Oppure meglio lasciar stare. Almeno alla Rai. Che è un servizio pubblico, non un servizio alla persona. Speriamo che da ieri si sia voltata pagina.

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