Con la Milano delle idee

Europa (17 marzo 2006) – "Un’idea, ci vorrebbe un’idea", cantava Giorgio Gaber al massimo della sua creatività artistica. Un’idea, tante idee, sono l’anima della nuova economia milanese. Ci fossero ancora i vecchi cultori dei luoghi comuni, direbbero senz’altro che le idee sono "il petrolio di Milano". E direbbero (un po’ goffamente) una cosa vera. Finito il primato dell’industria, allentata la spinta dei servizi di massa, si è spalancata l’era creativa.

Dove ribollono invenzioni, proposte, suggestioni e fantasie che ridisegnano i settori tradizionali, ne aprono di totalmente nuovi, o vedono irrompere protagonisti inediti, sia sul versante della produzione sia sul versante del consumo. Spesso le idee non riescono a comunicare tra loro, a mettersi in rete; a creare il clima che proprio ieri Romano Prodi – al convegno dell’Unione sull’innovazione – ha invocato, quello del "contagio tra le eccellenze".

E’ questo in effetti il primo problema segnalato, negli studi e nei seminari più attenti, dagli economisti come dagli urbanisti: occorre integrare le tribù creative, farle uscire dai loro splendidi isolamenti, generare il flusso cumulativo in grado di sospingere lo sviluppo e di alzare il grado di coesione sociale. E al tempo stesso di alimentare ancora nuove culture e intraprese, come in un inesauribile processo virtuoso.

In fin dei conti la Milano berlusconiana si è raccolta e galvanizzata, nel tempo, intorno ad alcune idee innovative che hanno smantellato e ricostruito strutture, relazioni sociali, senso comune. La televisione commerciale è stata un’idea strepitosa che ha sconvolto il panorama dei ceti e delle abitudini e dei valori sociali, rimodellandolo. Marketing, pubblicità, spettacolo, moda, editoria, urbanistica, la stessa politica, tutto è cambiato a rimorchio di quella idea. Ed è anche vero che il cambiamento ha offerto, come nel caso della comicità e della satira, occasioni uniche di valorizzazione anche a ciò che nasceva e si plasmava al di fuori della sua orbita culturale. Nonostante quel che si è pensato a lungo, però, non tutta la dimensione creativa che si è sviluppata a Milano dopo la rottura (questa sì epocale) della fine degli anni settanta e ottanta si è posta sulla scia dei valori e degli interessi che nel giro di vent’anni si sarebbero cementati nell’impero berlusconiano. La Milano delle idee si è anzi atteggiata spesso in modo critico, e pure radicalmente critico, verso il nuovo verbo venuto da Arcore. Solo un pigro luogo comune ha voluto contrapporre la città effervescente, brillante e ottimista del Cavaliere a una città superata e conservatrice (e perciò affezionata alla "solidarietà"), tagliata fuori dai grandi circuiti internazionali. In realtà la città dei talenti e delle invenzioni, la metropoli che offre e moltiplica i prodotti "immateriali", ha cercato e cerca sempre più spesso una sua diversa strada,  che appare naturalmente più promettente al di fuori delle mura di cinta del grande monopolio economico-culturale assurto a impero.

E’ a questa Milano nuova, non necessariamente dotata di un orientamento politico definito, che la Margherita ha iniziato a parlare con il "Big Talk" di fine novembre. E a essa torna a parlare domani con un convegno che mette al centro proprio la creatività, la forza dell’invenzione, la novità che non è sempre e per forza innovazione tecnologica. "Il genio e l’impresa" è il titolo del convegno, che sarà chiuso nelle sue due sessioni da Enrico Letta e da Tiziano Treu. Alta formazione, gastronomia, pubblicità, arte, e-commerce, finanza etica, informatica, comunicazione, teatro e spettacolo, televisione. Ma anche le soluzioni più geniali in un settore tradizionale e "grigio" per antonomasia, quello delle paghe degli stipendi. Gli immigrati che fanno impresa e la portano pure a Parigi e Londra, o i detenuti che fanno lavoro esterno conquistando spicchi di mercato pregiato. I popoli creativi e i loro distretti urbani. Le imprese grandi e piccolissime e le università. Tutto questo verrà messo a confronto (spazio Sironi, piazza Cavour 2, a partire dalle 10 fino alle 18) per cercare il senso di una narrazione comune, che pure ha segnato la storia recente di Milano e vorrebbe proseguire in un contesto capace di valorizzarla. Un contesto capace di produrre creatività, cultura schumpeteriana -ma sì!-, anche sul versante della politica. Perché se la politica chiede solo voti e consensi ai ceti e agli ambienti produttori di idee, la sua funzione non può che risolversi in un misto di controllo e di garbato parassitismo. Ma se la politica si fa creativa lei per prima, allora si lascia penetrare consapevolmente dalle idee e dalle invenzioni (tradizionalmente le più geniali) delle nuove generazioni; e, producendo idee a sua volta, può perfino farsi pioniera di nuovi tempi. Allora costruisce i circuiti virtuosi che danno ai giovani studenti piena cittadinanza e non solo alloggi, ospita e scommette sugli stranieri, investe sulla cultura e sul tempo libero, apre ai progetti di finanziamento delle idee che non esigono in garanzia né case né terreni. Apre, spalanca ai piccoli Archimede la pubblica amministrazione e i suoi sportelli.
Se non si ha in mente questo, è inutile parlare di futuro.

 

Leave a Reply

Next ArticleSindaco a Milano. Veronesi senza Veronesi?