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Pena di morte. Casini e la maschera della fede
Europa (4 aprile 2006) – Tommy. Mettiamola così. Le tragedie dei bimbi intrigano la politica. A volte la fusione tra politica e sentimenti collettivi avviene spontaneamente. Come quando l’angoscia di Pertini fu tutt’uno con il dramma di Alfredino, il bimbo inghiottito da un cunicolo di terra e fango a Vermicino. Erano i primi anni ottanta. Altre volte la politica salta sopra queste tragedie per farsi sentire di più, per riacquisire il suo primato in cronaca. Oppure per raccogliere consensi. E non fa una bella figura.
Come ora che, sotto elezioni, l’assassinio del piccolo Tommaso diventa occasione per riscaldare la tenzone elettorale e imbastire l’ultima aspra contesa sul programma che non c’è. Ma che si vorrebbe inventare alla carta, sfruttando le emozioni collettive dell’ultima settimana prima del voto.
Già, perché non sta scritto da nessuna parte, ma proprio in nessun programma, che si vuole introdurre la pena di morte. Eppure di delitti che sono empietà allo stato puro se ne vedono decine all’ anno solo nella nostra civilissima Italia, amabile patria degli italiani brava gente.
Di tutto abbiamo visto in questi anni. Bambini sciolti nell’acido, ragazzine stuprate dal branco e poi uccise, immigrati fatti annegare o automobilisti decapitati per puro divertimento. Mercanzia dell’orrore che sta degnamente sullo stesso piano dell’omicidio a colpi di vanga della creatura per la quale siamo stati in ansia per un mese.
Eppure nessuno, rivolgendosi al popolo che vota, ha mai proposto la pena di morte. Nessuno – dei politici più in vista, intendo – si è mai fatto prendere dall’ispirazione di dare in pasto alla folla l’idea della morte comminata dallo Stato. Ma giusto sotto elezioni sì, può succedere. Ed è addirittura la terza carica dello Stato, sia pure nella veste di leader politico, ossia Pierferdinando Casini, a prospettare la legittimità di quell’idea nel nostro ordinamento giuridico. "Se non fossi cristiano" sarei a favore, ha spiegato commentando le notizie di cronaca che giungevano da Parma. Se non fossi cristiano. Ma Casini è cristiano. E dunque dovrebbe dire: come cristiano sono risolutamente contrario. Continuando: per noi ogni uomo, anche il più reietto, è figlio di Dio. E basta. Se cioè l’etica cristiana si ferma, si inchina anzi, davanti alla superiore dignità della vita umana, è difficile immaginare che il cristiano diventato uomo di Stato possa trasmettere un messaggio differente ai non cristiani. Poiché ciò implicherebbe che egli serva un valore a destra e ne faccia servire uno diverso a sinistra.
Altrimenti dovrebbe pure dire: se non fossi cristiano potrei essere per i pacs. Oppure: se non fossi cristiano sarei per la procreazione assistita. O per l’eutanasia.
Ma non lo dice. Il che ci offre un Casini che contempla il pluralismo etico in tema di violazioni dei valori e diritti altrui e che invece non si sogna nemmeno di contemplarlo per quelle scelte che riguardano le sfere di vita più individuali e private (e innocue) delle persone "non cristiane".
Pena di morte. Se non fossi cristiano. Per dire che sotto la scorza della religione si può rintracciare una giustizia di fondo – quasi una giustizia di natura – nella ghigliottina o nella sedia elettrica o nel nodo scorsoio del boia. Una giustizia di natura la cui rappresentazione allusiva sul pubblico schermo della pubblica opinione può essere profittevole in campagna elettorale. Ma anche su questo dobbiamo vedere scivolare il senso della nostra civiltà? Anche su questo dobbiamo vedere sgretolarsi il senso delle nostre istituzioni di fronte alle pulsioni brutali che sempre vengono richiamate in superficie dai fatti che ci offendono e ci turbano l’animo? Fateci votare presto, per favore. Perché qui la nozione del limite sta saltando. Berlusconi ci ha messo abbondantemente del suo. Ma il suo retroterra non scherza.
Pavlov
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