Riformismo. Un triumvirato al Quirinale

Lei che vuole fare da grande? Il presidente della Repubblica. Stupendo. Ma se non ci riuscisse,che altro le piacerebbe fare? Mi spiace, sotto il Quirinale niente. Nemmeno il ministro degli Esteri? No, quello non ci penso proprio. Voglio un incarico istituzionale. Ma perché lo vuole? Non sono io che lo voglio. E’ il mio partito che ne ha diritto. Allora diciamo così: in nome del partito, ovviamente, lei accetterebbe di essere messo in una rosa di possibili presidenti? Ma quale rosa! il nome dev’essere uno solo. Quindi deve avere il consenso di tutti? No, dev’essere Prodi a farlo. E deve fare il suo? No, io non chiedo niente. Eccetera.

Ecco, ho provato a ricostruire il percorso logico su cui viaggia da qualche giorno la candidatura alla presidenza della Repubblica di Massimo D’Alema. Il quale, chissà in virtù di quale merito straordinario davanti alla storia, pretende di andare al Quirinale. Facendo capire a Prodi e Fassino che se no vedranno i sorci verdi. Non so che dire. Abbiamo vinto per 24.000 voti e dopo i “Francesco Marini”del Senato eccoci di nuovo qui a farci riconoscere da tutti, come si diceva una volta nelle famiglie piccolo-borghesi.

E non è tutto. Perché, come mi ha detto oggi un dirigente Mediaset, D’Alema per loro è una vera manna. E’ quello che in cuor loro preferiscono, perché è pur sempre quello della Bicamerale; e al tempo stesso è quello contro il quale possono urlare di più al regime e ai comunisti. Insomma, una trappola perfetta. Dicono i nostri che almeno così lo si sistema e non crea più problemi. Splendido. E allora mandiamo al Quirinale anche Mastella che così non fa fare più i pizzini e Pecoraro Scanio che così non fa più le boccacce ai funerali di Stato. Tre presidenti della Repubblica che si danno il turno. In base al consenso elettorale, naturalmente. D’Alema cinque giorni alla settimana. Mastella e Pecoraro uno a testa. Non è una bella riforma?

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