Rapinatori. Zainetti e democrazia

Piccole riflessioni autobiografiche. Mio figlio cammina da più di cinque mesi in un’altra parte del globo, l’America Latina. Ha voluto andarci dopo la laurea, perché  ama quel continente e anche per fare una ricerca per l’università di Bologna. Sta viaggiando da viaggiatore d’un tempo: da solo, niente cellulare, niente recapiti fissi, niente villaggi turistici, ma treno, pullman, autostop. Credo che abbia fatto un viaggio bellissimo. Ha visto posti meravigliosi. Ha incontrato giovani (e vecchi, dice lui) da leggenda. Fra tre settimane tornerà. Due giorni fa alla frontiera tra Perù ed Ecuador lo hanno rapinato. In tre, con un coltello. Gli han preso lo zainetto leggero. Dove, oltre a un po’ di documenti (che si rifanno), c’erano le foto di quei personaggi, filmini di quei luoghi (lui filma ciò che si deve, non fa come gli italiani alle comunioni o i giapponesi da noi), il diario del suo viaggio, ricordi dei posti, il quaderno con le interviste fatte faticosamente per la sua ricerca. Tutta roba che, diversamente dai documenti, non può rifare. Tutta roba senza alcun valore per i rapinatori. Tutta roba di valore inestimabile per lui.

Ecco, questa è la stupidità infinita della violenza. La sproporzione abissale tra ciò che prendi e ciò che infliggi. La vita di un ragazzo per un motorino che rivendi a trecentomila lire. Il vuoto totale (materiale, affettivo) in una casa svaligiata per poche migliaia di euro. Per associazione di date ho pensato a quel che ha fatto la scorsa maggioranza di governo alla nostra democrazia. Che è stata strattonata, umiliata, svillaneggiata -con guasti civili e morali che devono ancora essere misurati- solo per “salvare il soldato Previti”. Senza portare a casa niente. Ma lasciando noi molto più poveri di pudore e senso della giustizia e avendo rubato cinque anni (o almeno la metà) al nostro parlamento.

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