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Bocconi 2. Musica e politica, dubbi esistenziali
Ma la serata bocconiana non è stata solo il “raduno della riconoscenza”. E’ stata anche occasione per altro. Incontri, soprattutto. Ho conosciuto un grande leader emotivo, pieno di umiltà e di carisma, un dottore di ricerca della Bocconi in Economia politica. Si chiama Giuseppe Attanasi, credo abbia trent’anni, origini salentine (i pugliesi alla Bocconi sono un’infinità). Ha diretto tutta la serata nel dopocena con maestria strepitosa. Era in programma un concerto dedicato a Grillo e lui lo ha guidato, suonando ogni strumento a seconda delle occasioni, producendo musica rock e canzone popolare, Battisti e Vasco Rossi, chiamando a cantare tutti i laureati che hanno fatto parte con il dovuto talento del gruppo musicale dell’università. Con lui Filippo Giordano -bravissimo violinista di movimento-, un batterista e altri al basso e alla chitarra e al piano da restare avvinti fino alla fine. Voci di sogno. Una ragazzina acconciata esattamente da ragazzina e che sembrava un soldo di cacio che ha tirato fuori una voce da blues e rock meravigliosa, un ritmo irresistibile, una sensualità nascosta che ha stracciato ogni convenzione televisiva sul tema. Un’altra ragazza con una voce da Mina- Mia Martini che non si sente nemmeno ai festival. Insomma, ho visto una miniera di talenti sconosciuti che nessuno valorizzerà mai. Da qui l’idea di farlo io, prima o poi (un po’ s’è già fatto col Mantova Musica Festival, no?). E questa è stata la prima riflessione. La seconda riflessione è che un giovane come Attanasi i partiti di Milano se lo sognano. E questo qualcosa vorrà dire (ho capito che è di sinistra, lo ha detto lui e d’altronde, in un numero impagabile, ha fatto cantare a Grillo “Bandiera rossa”).
Terza e separata riflessione: come avrete capito, la serata mi ha conquistato. E mentre respiravo quella stupenda freschezza dei giovani, quel loro scherzare spontaneo, il loro rapporto con l’università, mentre me li sentivo un po’ figli, simpaticissimi figli, lo confesso, mi è tornato prepotente il desiderio di tornare tra loro. Di abbandonare la politica nelle istituzioni (l’altra non ci riuscirei mai!) e di respirare aria pura. Lo so, poi i ragazzi cambieranno; ma intanto sono una promessa su cui lavorare, realtà tanto diversa dal coacervo di rapporti ambigui che popola la mia politica. So che più si hanno responsabilità e meno si vive a contatto con l’illusione e con l’ingenuità. Oh se lo so! Però… Avrei voluto chiederlo a loro. Se avrebbero preferito avermi tra loro o nelle istituzioni. Avrei lasciato loro la scelta così, per amore istintivo verso di loro. Poi ho rinunciato, sarebbe sembrato demagogico. E ho deciso che me la vedo da solo.
Nando
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