Saggezza di capotreno. Aridatece i fenici

Ha gli occhi verdi acuti e buoni. E’ nato a Palermo nel quartiere Ballarò. Ha scritto anche un libro di poesie che nessuno gli pubblica. E fa il capotreno. Oggi ho conosciuto un altro di quei personaggi che illuminano (o dovrebbero illuminare) la nostra quotidianità. Ero andato a Bologna a chiudere il seminario sulla mafia organizzato in sociologia del diritto da Stefania Pellegrini, uno di quei docenti -le donne sono di più…- a cui bisognerebbe fare un monumento per come comunicano ai propri studenti il senso dell’impegno civile. Dopo la lezione, il tempo di ricevere la bellissima notizia di Napolitano presidente ed ero già a prendermi il treno del ritorno. Dieci minuti ed è arrivato lui. Ha dato un’occhiata sul ringhioso-bonario a un passeggero nero che teneva le scarpe sul sedile di fronte. Poi si è rivolto a me dicendomi: “oh, Nando”. Mi si è seduto di fronte. Mentre stavamo iniziando a parlare, è arrivato un altro passeggero di colore a dire che aveva perso l’abbonamento. Lui ha provato a discutere. Poi, non volendo interrompere la conversazione con me, gli ha detto “ne parliamo dopo, intanto si sieda”. Io gli ho dato l’assist: “ma davvero lei misura ogni giorno i problemi del mondo”. Lui mi ha risposto di sì. E ha aggiunto: i problemi sono tanti, fanno finta di aver perso il biglietto, la gente non ha soldi, ma lo sa che si indebitano con le finanziarie per andare in vacanza a Natale? E ha commentato, con l’aria grave: ma perché la gente non si rispetta? Come a dire: ma perché si deve sentire umiliata se resta nella sua città, e non si sente umiliata a implorare soldi dagli sconosciuti? Mi ha colpito quel “perché non si rispetta?”. Detto con tono non ostile, ma sofferto e affettuoso verso il prossimo. Mi è sembrato, nella sua divisa, portatore di una saggezza antica. Lui l’ha intuito e allora mi ha offerto la sua massima: “Chi vuole essere diverso da quello che è, rischia di diventare noioso come una zanzara e di essere schiacciato dal proprio io”. E’ stato contento di vedere che mi scrivevo la frase, mi ha raccomandato di ricordare “come una zanzara” e poi se ne è andato a fare il suo dovere. Ma prima si è lamentato di come sono trattati i siciliani nelle altre città. Troppe botteghe, mi ha detto. Dovrebbero essere i più aperti, i bottegai, con tutta la gente che conoscono. E invece sono i più chiusi. Che ci volete fare? Nostalgia dei mercanti fenici di fronte a certi bottegai nostrani… 

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