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La clemenza non è amnistia
Cari amici, questa è un’intervista fattami da Dino Martirano su amnistia e indulto pubblicata sul Corriere della Sera di oggi (15 maggio 2006).
ROMA — «Un atto di clemenza non significa concedere l’amnistia. E anche l’indulto deve prevedere molte esclusioni e precise condizioni che lascino in carcere i delinquenti professionali. L’annuncio di queste iniziative, poi, andrebbe comunque ponderato più attentamente perché, altrimenti, si genera un clima psicologico collettivo per il quale ci si schiera a favore o contro non valutando tutti gli elementi che sono sul tavolo. Io dico che col cambio di legislatura e di maggioranza, un provvedimento di clemenza può essere pure studiato ma senza inutili fughe in avanti».
Nando dalla Chiesa (Margherita) risponde al telefonino mentre è a bordo di un tram milanese per i suoi giri domenicali di campagna elettorale e ben sa quanto sia delicato il terreno sul quale si innestano, inevitabilmente, i problemi del rispetto della legalità e della sicurezza: «Da quando il Papa in Parlamento ci ha chiesto un atto di clemenza, noi abbiamo prodotto un indultino dagli effetti limitati senza avviare una seria riflessione sul perché il carcere sia diventato questa discarica sociale. Abbiamo buttato via anni».
Il dato di partenza è il sovraffollamento delle carceri.
«Il carcere è diventato il deposito dei diseredati. La considerazione non è buonista ma nasce dalla constatazione che la giustizia ha funzionato in maniera diversa a seconda dei gruppi sociali cui si è rivolta. Ecco, bisogna partire da qui per un gesto di clemenza che non serva a produrre impunità con un’amnistia indirizzata a gente che non è neanche entrata nel carcere».
E l’indulto?
«Anche l’indulto va studiato attentamente. Francamente io partirei da chi è dentro e non lascerei il tema in mano a chi sostiene l’amnistia a tutti i costi».
Qual è l’obiettivo dei fautori dell’amnistia? Vogliono salvare anche qualche «colletto bianco» condannato o sotto processo?
«Alcuni non si rendono conto di quello che dicono perché identificano l’amnistia con il problema dell’affollamento delle carceri. Altri agiscono con una riserva mentale perché c’è sempre qualcuno che potrebbe trarne dei benefici. Per questo si finisce sempre a discutere del menù dei reati da escludere, con quel tira e molla che ben conosciamo».
Ma se non è amnistia e neanche indulto, in cosa dovrebbe consistere questo «atto di clemenza»?
«L’indulto se studiato bene può diventare uno strumento efficace perché è rivolto ai condannati e non a quelli che hanno il processo in corso che sono appena stati rinviati a giudizio».
Quindi bisognerebbe capire bene quali sono i parametri dell’indulto: quanti anni di carcere condonati, a quali condizioni e con quante esclusioni.
«Bisogna capire quali sono i tipi di reato che coinvolgono maggiormente gli strati dei disperati finiti in carcere».
E i recidivi?
«Ecco, su questo punto va fatta molta attenzione perché non possiamo mica correre il rischio di mettere fuori dal carcere i delinquenti professionali».
Clemenza sì ma non per i recidivi.
«I recidivi non dovrebbero rientrare nella prima fascia cui pensiamo: e mi riferisco solo ai reati minori per i quali si sta scontando una pena in carcere. Questo è l’atto di clemenza al quale pensiamo».
Pavlov
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