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Ragazzi di strada. Ovvero: come si può vincere
Insisto, insisto. Bisogna farsi vedere dalla gente, anche a rischio di sembrare pochi e senza mezzi. La campagna elettorale milanese sta finendo. I gazebo del centrodestra sono praticamente chiusi. Servono per metterci su i manifesti. Ma sono luoghi muti, disperatamente muti. Noi a piazza San Babila intervistiamo (quasi sempre io) i candidati, li facciamo conoscere con le loro storie a dieci, quindici persone in più che si siedono e stanno ad ascoltare dal primo all’ultimo minuto. Ma c’è anche (e sono decine e decine di persone, a volte centinaia) chi si ferma tre, cinque minuti, c’è chi passa e guarda, c’è chi blocca la bicicletta per un minuto, c’è chi osserva e ascolta seduto sul muretto a dieci metri di distanza, c’è chi getta un’occhiata dal negozio. E’ tutta presenza di popolo. Il ragazzo, l’anziana, la signora con il cane, lo sfaccendato. Basta una parola di buon senso, basta una cifra giusta, per contribuire a fare opinione, a mettere una pulce nell’orecchio degli indecisi. Perché riunirsi al chiuso? Perché giocare sempre in casa?
Anche ieri pomeriggio ho visto una signora chiedere informazioni a un nostro volantinatore. E siccome quello le stava dando un volantino dell’Ulivo, lei ha voluto un “santino” proprio del candidato che in quel momento stava parlando, colpita probabilmente dalla sua esperienza nel mondo del volontariato. Usciamo, camminiamo: sto facendo una fatica dannata a far capire che ci vogliono microfoni e casse da mandare in giro tutto il giorno su un pulmino. Per fare parlare, improvvisare comizi, là dove c’è la gente. Perché questa paura di andare in mare aperto, accidenti?
Nando
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