Il bastone magico di Bruno Lauzi

Avevo ragione. Avevo ragione a dirvi di andare a Mantova. Io sono riuscito a passarci mercoledì sera, prima di esordire ieri mattina all’università di Verona nella mia nuova veste ufficiale di sottosegretario. E devo dirvi che la serata di apertura, quella dedicata a Umberto Bindi, è stata meravigliosa. Bravi Paoli, Battiato, la Ruggiero, Morgan, Sellani, l’orchestra Verdi, il semprevivo Ricky Gianco. Ma se posso esprimere una mia opinione, la serata ha avuto soprattutto un nome: Bruno Lauzi. Che è entrato sul palco irriconoscibile. Niente lunghi ricci bianchi, ma una testa senza un capello, sì, avete capito, una di quelle metamorfosi fisiche che ti ficcano un coltello nello stomaco se solo vuoi un po’ di bene alla persona interessata. Si reggeva su un bastone. Si è portato nel centro del palco. Ha detto che avrebbe cantato una canzone nata nel pieno della sua amicizia con Luigi Tenco, quando guardavano il mare dalla Foce di Genova e sognavano che Broadway non aspettasse altro che loro. Loro due, Bindi e Paoli, i celebri cantautori genovesi.

Non l’avevo mai sentita quella canzone. Forte, dolce, tonante e struggente. Lauzi l’ha cantata divinamente trascinando il pubblico nella poesia del tempo e quasi lo incitava  a non perdere la bellezza nemmeno di un verso agitando il bastone nell’aria fredda e umida (Mantova fa sempre qualche scherzo e ieri è piovuto…). Quel bastone sembrava spingere e chiamare a sé. A un certo punto tutti sono scattati in piedi, con le guance rigate dalle lacrime e lo hanno applaudito con ammirazione sconfinata. Una scena indescrivibile. Musica così non se ne vede (e dico “vede” apposta) quasi mai. Altro che “controfestival”…

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