Con l’azione di governo riconquisteremo Milano. Non facciamoci la guerra

(Europa, 1 giugno 2006) – A Milano non c’è nessuno, a Milano non c’è nessuno, a Milano non c’è nessuno. Non c’è classe dirigente, non c’è classe dirigente, non c’è classe dirigente. A ogni tornata elettorale ci viene spiegato, e sempre dalle stesse persone, che il problema di Milano è questo. Come se non esistessero contesti storici, culture radicate, primati, interessi ed egemonie. O condizioni, strutture e vincoli. Milano è la roccaforte per eccellenza del berlusconismo.

E’ stata la sua piattaforma di lancio verso il governo nazionale, che non per nulla è stato anche il più lombardo della storia patria. In una città così non parti mai alla pari, e se non lo sai rischi di prendere abbagli e fare implodere ogni discussione dopo il voto. E’ ovvio: devi fare il possibile per vincere, come in ogni partita. Ma quando poi non ci riesci devi mantenere un minimo di consapevolezza e una certa dose di scientificità dell’analisi.

E in effetti. Quando a Bologna le sinistre erano dominanti e di Bologna avevano fatto la propria roccaforte simbolica, nessuno, di fronte alle ripetute sconfitte della Dc avrebbe alzato regolarmente il ditino per dire che nel centro o a destra non c’era classe dirigente. Anche se c’era Andreatta. O Prodi. O crescevano Casini e Fini. Né in Sicilia, di fronte alle vendemmiate elettorali della Dc, qualcuno ne avrebbe dato la colpa a Li Causi o La Torre o Macaluso o poi a Occhetto.

A Milano perfino nel ’76 la prima giunta rossa si formò sul modello Depretis, ossia grazie all’acquisto decisivo di due transfughi. E, per venire a noi, quando nel ’93 arrivò l’elezione diretta del sindaco, la sinistra milanese, di fronte a una Lega che schizzava al 42 per cento, si fece trovare  nello stato seguente: colpita al cuore da Tangentopoli, con il Pds all’8 (dico l’8) per cento e una grande area riformista (per usare un termine convenzionale) che si sarebbe rivelata come una delle principali incubatrici del berlusconismo prossimo venturo. Situazione radicalmente diversa da quella di Roma, e gravida di opposti destini, come ha ben ricordato ieri in una lucida intervista a Radio Popolare Goffredo Bettini.  Da lì, insomma, da quei numeri, da quegli impasti culturali, siamo partiti nella lunga battaglia per portare il centrosinistra al governo della città in uno schema bipolare.

Da allora di strada ne è stata percorsa. L’Ulivo, la vasta partecipazione civile ad alcuni grandi momenti politici ed elettorali, la promozione di una classe dirigente nuova fatta soprattutto di bravi consiglieri comunali, l’ingresso nella politica milanese di nuovi protagonisti. Non il paradiso terrestre della politica. Né maghi prodigiosi. Ma, se ho un po’ di esperienza, niente, ma proprio niente di peggio di ciò che passa il convento in tante città in cui il centrosinistra governa. E infatti si sono vinte delle elezioni provinciali alle quali il centrodestra (anche questo non va dimenticato) si presentò diviso. Si è recuperato molto terreno alle ultime regionali (il maggior recupero di punti su scala nazionale, pur perdendo). Si è costretto Berlusconi ad aspettare l’alba del giorno dopo per sapere se aveva vinto nella “sua” città (quella in cui alle politiche aveva portato masse sterminate di anziani al voto), con un ministro di nome Moratti che ha speso, di suo, più di tre milioni di euro per la campagna elettorale, nella più gigantesca disparità di mezzi che sia dato ricordare in campagne amministrative.

Contenti? No. Perché nel ballottaggio ci si era sperato, eccome. Ma è il miglior risultato ottenuto in questi tredici anni, migliore anche di quello di Aldo Fumagalli il quale –lo ricordo a Nicola Pasini- il taglio dell’ala sinistra della coalizione per dare un’impronta moderna e riformatrice alla sua alleanza lo aveva già fatto, e anche con una certa coraggiosa determinazione. Errori? Certo, chissà quanti ne abbiamo fatti. Chissà quante omissioni, anche: di umile impegno sul territorio prima di tutto. Ma se, dopo la delusione per avere finalmente intravisto la vittoria, precipitiamo in quella che giustamente ieri Europa definiva la “guerra di tutti contro tutti”, davvero dimostriamo le nostre pochezze. Rischiamo di diventare tanti piccoli Berlusconi che, irritati per aver perso per poco o per un soffio, iniziano a lanciare accuse a Mentana e a Matrix, a Tremaglia, a chi non ha candidato Bobo Craxi, a chi ha tenuto fuori gli autonomisti lombardi. Insomma, ad avvitarci nel risentimento e nelle ingenerosità. O non è molto meglio puntare sull’azione di governo per conquistare finalmente, con l’azione pragmatica e innovativa che piace ai milanesi, la fiducia della città? 

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