Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Cara Unione, non dimenticare Milano
(l’Unità, 2 giugno 2006) – Il tempo (fugace) di intravedere la vittoria tanto attesa e a Milano già domina lo sport del tutti contro tutti. Che non è un bel segno. Anzi, è forse il sintomo di una debolezza, la spia che qualcosa effettivamente ancora non funziona nella mentalità della squadra che si vorrebbe vincente. Quando si perde di un soffio una partita sono tanti gli episodi che determinano la sconfitta.
Se il tale giocatore avesse tirato in quel momento la stoccata giusta, se il talaltro avesse avuto l’intuito di mettere l’avversario in fuorigioco prima che scattasse verso l’area, se avessimo scelto un ritiro meno rumoroso… Tutte cose che si possono fare. Tutte cose che però magari non si fanno perché l’azione di un collettivo umano è, infine, una somma di cose buone e di errori e imperfezioni. La campagna elettorale di Milano ha certo avuto diverse imperfezioni. E chi ci ha partecipato (non chi è stato a casa sua) lo sa bene. Conosce, per averle vissute e sofferte, debolezze e inefficienze. Ma rimpallarsele ora con stizza o con rancore non ha molto senso. Anche se proprio il traguardo assaporato e sfumato rende la tentazione più forte. E in effetti mai a Milano, dacché esiste l’elezione diretta del sindaco, il centrosinistra è andato così vicino alla vittoria, nonostante una gigantesca sproporzione di mezzi non solo tra i due candidati sindaci ma anche tra i singoli candidati dei due schieramenti. Una sproporzione mai così vistosa, mai così rivelatrice dell’urgenza democratica che le celebri leggi sui tetti di spese elettorali siano finalmente penetranti ed efficaci.
E dunque -così come dopo una partita persa tenendo testa fino alla fine a un avversario potente e straripante- rischia di diventare perfino ozioso strologare su ciò che è stato giusto e ciò che è stato sbagliato. Se la Moratti, come poteva capitare, avesse perso per uno 0.5 per cento di scarto, ora la crocifiggerebbero per la sua partecipazione alla manifestazione del 1° maggio, che – la si accuserebbe – “ha legittimato il sindacato”; oppure per avere tappezzato la città di manifesti provocando -sempre la si accuserebbe- “un rigetto per l’ostentazione di tanta ricchezza”. Non c’è occasione come i commenti postelettorali per trasformare, sull’onda di un uno o due per cento in più o in meno, una cosa giusta o normale in uno sbaglio decisivo, o una fesseria in un colpo di genio. Né è molto costruttivo invocare a posteriori altri candidati. Non è generoso verso Ferrante. Non è serio di fronte alle felicitazioni e ai complimenti indirizzati allo stesso Ferrante dopo la sua investitura e ancor più dopo il suo trionfo alle primarie. Non ha fondamento empirico perché è da dubitare seriamente che altri avrebbero saputo tenere insieme tutto il centrosinistra e aggiungere al potenziale dell’Unione un discreto gruzzolo di voti disgiunti.
Ci sono tuttavia da aggiungere due elementi di analisi. I quali aprono a una prospettiva differente; che va oltre gli errori che si compiono nelle diverse partite elettorali e li rende meno decisivi. Il primo elemento è l’astensionismo che in questa occasione ha colpito il centrosinistra. Per averlo indicato subito, il sottoscritto è stato criticato assai irosamente. Ma ora le analisi non lasciano scampo. Il centrosinistra avrebbe addirittura registrato a Milano un astensionismo superiore a quello del centrodestra. Effetto stanchezza? Un po’ ci può stare, ma riguarda tutti. La campagna è stata fiacca, poco ideologizzata? Non si direbbe. Berlusconi ha provato -eccome- a fare del voto un test ideologico-politico; e infatti a Milano, a differenza che in altre città, Forza Italia è cresciuta rispetto al 10 aprile. Il fatto è che è sempre meno vero che l’elettorato di centrosinistra vada al voto militarmente. Che il suo sia un voto già “in carniere”. E’ invece un elettorato spesso esigente. E a essere esigente, questa mi sembra la novità da cogliere da qui in avanti, non è solo l’elettore della sinistra radicale. Ma è anche l’elettore moderato, quello moderato per davvero. Quello che è andato a votare per Prodi per fermare Berlusconi, magari dopo anni di astensione perché non aveva fiducia né negli uni né negli altri. E che dopo la prima rappresentazione che il centrosinistra ha dato di sé – le liti tra e dentro i partiti, le logiche lottizzatorie ecc. – ha ritenuto di non tornare a votare. Se ne raccolgono testimonianze soprattutto nella borghesia diffusa delle professioni. E’ insomma l’astensionismo moderato del centrosinistra che, in una città laica e che ai partiti non fa e non ha mai fatto troppi sconti, deve diventare un campanello d’allarme. Non giustificazione “esterna” della sconfitta. Ma spiegazione (complementare ad altre) del perché l’euforia corsa nel centrosinistra alla notizia del crollo dell’affluenza fosse infondata.
Il secondo elemento di analisi riguarda il rapporto che con Milano deve decidersi a stabilire il centrosinistra nel suo insieme. Il centrosinistra nazionale. Quello di governo. Prodi ha già dato un segnale in questa direzione. Ma la questione è ormai indifferibile. Il sistema uninominale, combinato con l’egemonia del centrodestra in Lombardia, ha di fatto escluso Milano dalla classe dirigente politica nazionale dell’Unione. Producendo un gatto che si morde la coda. Perdi in Lombardia dunque vieni tagliato fuori dalle istituzioni parlamentari. Dunque il gruppo dirigente dei partiti si forma in prevalenza da Bologna in giù. Dunque a Milano il centrosinistra conta poco ed è poco presente. Dunque riperde alle elezioni. Questa spirale va rotta. Anche a dispetto della ridotta presenza dei lombardi nel governo. A questi ultimi l’onore e l’onere di provare a fare risalire strutturalmente (e non con le campagne elettorali più o meno azzeccate, più o meno perfette) la credibilità dell’Unione in Lombardia e nella sua capitale economica. Ma questo onore, questo onere, vanno anche al governo nel suo complesso. La partita milanese non si può giocare solo alla vigilia di ogni voto.
admin
Next ArticleBanana Republic