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Mondiali amari
Mondiali malinconici. Roba amara, questo calcio. Qualunque sia il loro esito per la nazionale azzurra, mi resterà dentro il magone. Un senso di violenza subita, di frode immensa a cielo aperto. Tutto era visibile, di questo inganno quotidiano. Ma l’ingiustizia massima stava nelle sanzioni puntualmente irrogate a quei giocatori, allenatori e direttori sportivi che si azzardavano a denunciare la marea di fango che saliva. E che soffocava i talenti, i meriti e anche la poesia dello sport. Mentre l’offesa massima stava (sta) nel senso di impunità che ciascun protagonista aveva coltivato nel proprio io più profondo. Moggi che insultava e quasi minacciava Varriale in tivù; Cannavaro (il capitano della nazionale, appunto…) che esibiva e rivendicava con orgoglio i suoi scudetti dopo avere saputo dalle intercettazioni come venivano aggiustate le (sue) partite; Capello che faceva il pesce in barile (a vincere così sono capaci in molti, gliel’hanno detto almeno?); Lippi che alzava le spalle di fronte alle contestazioni sul figlio in affari con la Gea.
Se lo sport è specchio sociale, visto che dovrebbe rappresentare la parte più pura di un paese, siamo messi davvero male. Una volta si diceva che per tenere i giovani lontani dal malaffare o dalla delinquenza o dalla droga bisognava fargli praticare uno sport. Dargli un campo di calcio. Be’, per ora è meglio tenerli alla larga. Non si sa mai che siano troppo bravi. E che trovino un boss riverito e potente pronto ad accoglierli a base di malaffare, delinquenza e droga. Sotto controllo medico, si intende.
(Scritto per Casablanca, il nuovo mensile diretto da Riccardo Orioles in terra siciliana)
Pavlov
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