(Il mio ) Conflitto d’interessi

Tranquilli boys, non sono più in conflitto di interessi. Ora potete dormire in pace. Ho dato le dimissioni dalla presidenza della Melampo, la piccola casa editrice fondata due anni fa con i miei ex allievi bocconiani Lillo e Jimmy e con la quale ho pubblicato gli ultimi miei libri. Perché l’ho fatto? Era obbligatorio, non lo sapete? E’ la legge, bellezze. La legge, appunto, contro il conflitto d’interessi. Che dice che io potrei approfittare del mio status di membro del governo per favorire la mia casa editrice. E dunque non posso tenervi cariche di rappresentanza o di gestione. Naturalmente, in linea teorica s’intende, io potrei favorirla lo stesso avendone, secondo la celebre espressione di Frattini, la “mera proprietà”, sia pur divisa con altri. Esattamente come fa B. con Mediaset. Così come potrei favorirla anche se non fossi al governo; per esempio se fossi presidente di una commissione parlamentare in grado di aiutare o di bloccare delle leggi utili a qualche università. Ma così è. Pazienza.

Mi sembra incredibile, invece, che non solo io debba rendere conto delle mie attività e del mio patrimonio. Ma che lo debbano fare anche tutti i miei parenti fino al secondo grado, compresi i nipoti, ossia i figli delle mie sorelle, che giustamente malediranno il giorno in cui lo zio è andato al governo. Dovranno spiattellare tutto quel che hanno e che fanno in base al (giusto) principio che di un uomo politico si debba sapere tutto, specie se si occupa delle cruciale materia dell’editoria. E questo mentre -a proposito di editoria e di conflitto d’interessi- chi guida l’opposizione e controlla le tivù vi organizza sopra senza pudore campagne referendarie ed elettorali che non sarebbero concepibili in alcun paese libero, piangendo ogni minuto contro la par condicio. E questo mentre la moglie di Fini fa affari nella sanità con il segretario del marito e con Storace. Insomma, con tutto quel che abbiamo dovuto vedere in questi anni, possibile che non si sia capaci di dire chiaro e tondo che chi controlla una certa quota di mercato nel settore dell’editoria (anche con la “mera proprietà”) non può rivestire cariche di governo? Possibile che per la paura di enunciare un principio sacrosanto si debbano distribuire proibizioni ipocrite a 360 gradi? E nel caso specifico: non basterebbe dire che la Melampo non può stampare libri per le università e affini? 

Vedi un po’ che succede quando i principi sono deboli. E quando si accetta che un presidente o un membro della commissione Giustizia possa fare le leggi per un proprio assistito…

Leave a Reply

Next ArticleIl profumo dei voti