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Nel tricolore il patriottismo ritrovato
(Europa, 11 luglio 2006) – Anche la toponomastica. C’era da aspettarselo. A Milano, nella "Porta Romana bella" cantata da Gaber, piazza Bruno Buozzi e’ diventata piazza Mondiali. Lo annuncia una targa di iuta rigorosamente colorata a bande verticali verdi, bianche e rosse. Una targa posta davanti a un monumento color dell’oro che raffigura ad altezza d’uomo la coppa alzata da Fabio Cannavaro verso il cielo magico di Berlino la notte di domenica.
A Milano come a Bergamo, a Brescia, a Como e Varese sventolano dai balconi le bandiere tricolori. Dopo il "No" al progetto di una nuova Costituzione, anzi piu’ ancora di quel "No", e’ il massimo sfregio della grande cultura padana al sogno di separatezza della Lega; e’ l’umiliazione senza appello della celebre teoria bossiana sull’uso più appropriato del tricolore, quell’uso evocato in forma tanto rude a una signora veneziana negli anni arrembanti della secessione. Anche il lombardo-veneto si riscopre con il cuore italiano. Ha ragione il presidente Giorgio Napolitano a dire che alla nostra cultura si e’ aggiunto l’altra notte un felice frammento di patriottismo in piu’. Che questo avvenga attraverso e grazie al calcio non e’ una bestemmia.
Sempre il senso della propria appartenenza (a una famiglia, a un gruppo di amici, a una generazione, a una terra) viene scoperto e rinnovato nei momenti di gioia e di dolore: una nascita, un matrimonio, una tragedia, una grande festa. La vittoria ai Mondiali dell’Italia e’ uno di quei rari, grandi momenti collettivi che segnano la memoria, i sentimenti di comunita’ e l’immaginario di un popolo. E’ utile in proposito non dimenticare che il nostro tricolore usci’ dalla retorica nazionalista e dal monopolio cromatico del vecchio Msi la notte di Italia- Germania tra il 17 e il 18 giugno di quel 1970 in cui si fece a gara per mettere insieme dei pezzi di stoffa verde, bianca e rossa perche’ la bandiera in casa non l’aveva nessuno. Semmai, oggi, fa increspare le labbra di compiaciuta ironia che la rivincita calcistica del tricolore sia passata nell’ultimo quarto di secolo non sotto la propaganda tambureggiante della destra ma sotto la benedizione festosa o pacata del primo presidente partigiano e del primo presidente ex comunista.
Non e’ un patriottismo di risulta. All’Italia di Lippi era stato affidato il difficile compito di rappresentare un paese che ce l’ha messa tutta negli ultimi anni, con le sue istituzioni di governo, per riaccreditarsi come il paese dei furbi e del mandolino. Lippi ha affrontato questo compito esaltando la dote nazionale (che ha ingigantito il processo di identificazione collettiva negli Azzurri) di reagire con orgoglio smisurato alle difficolta’ del momento, di realizzare lo scatto di reni quando il mondo ti considera in ginocchio. Ha mandato in campo una squadra operaia che poteva stare solo nella sua mente e nella quale solo lui poteva avere fiducia: dal vecchio blocco del Palermo a Iaquinta, dal Del Piero riserva nella Juve a Materazzi riserva nell’Inter. Anzi, forse nulla esprime meglio il suo azzardo meraviglioso del paradosso di Marco Materazzi capocannoniere della squadra campione del mondo: un evento inimmaginabile per chiunque, quasi come, nel 1970, il Niccolai visto in eurovisione da Scopigno. L’Italia in ginocchio ha reagito e ha vinto, emblema fisico, estetico, caratteriale dell’Italia della provincia contrapposta alla potenza coloniale che sembrava schierare in campo il Resto del mondo. Non e’ un patriottismo di risulta. La squadra di Lippi aveva anche un altro compito, che toccava nei luoghi piu’ intimi il senso dell’orgoglio e dell’identita’ nazionale: ricacciare in gola l’accusa di "mafiosi" fatta piovere addosso per l’ennesima volta all’Italia. Un’accusa resa verosimile dalla marea di scandali che hanno investito in questi anni la politica e le istituzioni nazionali e che la politica e le istituzioni hanno pensato di risolvere con una giustizia di favore. Un’accusa resa verosimile nel mondo del calcio dalla melma tracimata dalle intercettazioni telefoniche e che ha fornito uno spaccato mozzafiato dello sport piu’ popolare d’Italia. Questo, non di meno, e’ stato chiesto a tutti gli Azzurri, ossia, per ironia del destino, a calciatori che in gran parte militano o militavano proprio nelle squadre piu’ coinvolte nelle vicende processuali. Gli Azzurri, con Lippi in testa, e grazie soprattutto (non dimentichiamolo mai) al clima di serieta’ e al tempo stesso di serenita’ creato da Guido Rossi, hanno risposto vincendo al di sopra di ogni sospetto. La loro e’ stata la limpida vittoria della volonta’ di riscatto, della forza del gruppo e – non abbiamo paura di usare questa espressione – del senso di una missione da onorare. Ce l’hanno fatta, sconfiggendo anche la maledizione dei rigori. Ce l’hanno fatta senza nemmeno piu’ un centilitro di birra in corpo e con la mente annebbiata dalla fatica, segno che hanno attinto unicamente alle loro energie fisiche. Ne’ mafiosi, ne’ derelitti. Questi sono stati gli italiani davanti al mondo grazie agli Azzurri mondiali del 2006. Ne’ la scienza, ne’ la cultura, ne’ la politica, ne’ l’arte sanno comunicare un simile messaggio cosi’ velocemente a miliardi di persone. Chi e’ sceso nelle piazze ha gioito anche per questo.
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