Un calcio all’amnistia

(l’Unità, 12 luglio 2006) – E ora c’è una cosa, una sola cosa da fare se si vuole sporcare la vittoria azzurra. Se si vuole imbrattare la nostra fantasia. Se si vuole dare una tagliatina di faccia  al popolo del Circo Massimo e a chi avrebbe voluto farne parte. Ed è di mettersi tutti insieme a chiedere una bella amnistia.

O una bella indulgenza alla Bonifacio VIII o alla Leone X. Da decenni aleggia e incombe sul nostro discorso civile una polvere che nel momento giusto, come a comando, su tutto plana e tutto trascolora, concetti e parole. E a quanto pare non se ne vuole andare. Nonostante i cambi di governo, i referendum costituzionali e le grandi gioie collettive, eccola ancora lì che vola, felice di poterci fare vivere in un perenne stato di allucinazione mentale.

Ricapitoliamo? Una squadra con un cuore grande così ci ha portato a casa il quarto titolo mondiale. E’ una squadra che tecnicamente non regge il paragone con molte altre nazionali azzurre del passato recente. Le quali però il titolo non l’hanno vinto. Mentre questa sì. Ebbene, la verità più profonda sulle ragioni di questo miracolo l’ha detta in tivù “Ringhio” Gattuso: se non ci fosse stato lo scandalo del calcio, ha spiegato con la sua proverbiale schiettezza, noi non avremmo vinto. Tradotto (ammesso e non concesso che sia necessario): ha vinto la voglia di riscatto, di dire al mondo che noi siamo puliti, di dimostrarlo al nostro pubblico, ai nostri tifosi, ai bambini che ci chiedono gli autografi e che sognano di diventare come noi. La voglia di fare trionfare l’idea del calcio che ci ha fatto innamorare del pallone da ragazzi. Abbiamo voluto segnare un distacco esistenziale tra il marciume che strabordava dai giornali italiani quando siamo partiti e noi, le nostre facce, i nostri nomi e cognomi. Volevamo vincere per dimostrare chi siamo davvero. Che non abbiamo bisogno di doping e di arbitri venduti.

Chapeau. Gli azzurri ce l’hanno fatta. Soffrendo e lottando, venendo anche dominati dall’avversario finale. Ma ce l’hanno fatta. Trovandosi progressivamente tra i piedi, è il caso di dire, altre buone ragioni per vivere un senso alto della sfida, a partire dalle accuse di mafia sfornate per l’ennesima volta dalla stampa tedesca. Così, con il loro orgoglio ferito, ci hanno dimostrato di non essere diventati tutt’uno con l’ambiente mefitico e ripugnante raccontato dalle intercettazioni. Se non fosse stato così, d’altronde, non ci saremmo ritrovati inchiodati al limite dell’infarto davanti alla televisione. Non avremmo sofferto e gioito con loro. Siamo ormai abbastanza smagati per capire d’istinto quando lo sport -una squadra, un campionato, un asso-  non merita la nostra passione. Avremmo spento lo schermo. O al massimo lo avremmo tenuto acceso parlottando con i nostri ospiti, pronti per curiosità a rivedere al replay le immagini dei gol. Ma soprattutto, per capire lo spirito della vittoria: avrà un senso, o no?, che proprio Gattuso, ossia la vera anima del gruppo, abbia subito invitato, ancora a torso nudo, a non far finire tutto “a tarallucci e vino”. Che abbia invitato con molta serenità a far pagare il conto della giustizia a chi lo deve pagare.

E invece ecco che un esercito di perdonisti si sta già attrezzando per i più svariati motivi a rovinare la festa in nome della festa. A rischiacciare l’immagine dei nostri campioni su quelle degli arbitri e dei dirigenti corrotti dalle quali essi hanno cercato di separarsi tirando fuori fino l’ultima stilla di energia. La loro vittoria, una vittoria raggiunta con quelle motivazioni, dovrebbe ora premiare proprio i signori della corruzione. Dice: questi ragazzi non meritano di giocare in serie B. A parte che la B non è l’inferno (o forse giocatori come Grosso e Toni non ci giocavano fino a due anni fa?), non è affatto detto che loro, gli azzurri, ci debbano andare. Esiste pur sempre il mercato calcistico. Le punizioni piuttosto saranno inflitte alle società, che non possono invocare il colpo di spugna per sé giovandosi di un’impresa che è maturata ed è stata realizzata idealmente proprio “contro” le loro prassi, i loro maneggi, il loro modo usuale di vedere il calcio. Dice ancora il commentator pietoso: e i tifosi delle squadre a rischio? Loro, poverini, che c’entrano? Già. E i tifosi delle squadre danneggiate dagli imbrogli, loro invece dove li mettete? Figli di un dio minore? E perché non dovrebbero, anzi, tutti i tifosi inaugurare l’era Bersani e organizzare una colossale, clamorosa “class action” contro i protagonisti dello scandalo, colpevoli di avere truccato più campionati e infranto il sogno magico del calcio (i beni immateriali, come si sa, sono i più cari)? E infine. Che è poi: e soprattutto. E i tifosi della nazionale? Perché mai milioni di italiani dovrebbero vedersi sporcata la vittoria più bella, quella che ricorderanno e racconteranno per decenni -Buffon l’imbattibile, Cannavaro l’insuperabile, Ringhio maratoneta e filosofo civile , Materazzi capocannoniere, Grosso “non ci credo”, ecc.-, dalle pretese di impunità di qualche presidente o manager con amici potenti al seguito?

Perché, vedete, una cosa è chiara. Se ci trovassimo davanti a un gruppo di detenuti prelevato dalle galere e mandato in guerra (o in un contesto di rischio civile) a realizzare missioni impossibili, e questo gruppo si coprisse di gloria, certo allora avrebbe un senso chiedere clemenza per chi ha acquisito meriti verso la patria o la collettività. Ma qui a essersi coperti di gloria (sportiva) sono uomini che con le inchieste e le possibili condanne non c’entrano nulla. Gli imputati, loro invece, hanno tentato di ucciderci tutto ciò che ci ha riempito di gioia in questi giorni. E dunque: che c’azzeccano?

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