Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Mafia, la T-shirt della vergogna
(l’Unità, 16 luglio 2006) – “Minchia, troppo favolosa quella maglietta.” “Quale?”. “Ma come non la vedi? Talé, là a destra… ‘Mafia. Made in Italy’ c’è scritto. Una bomba!” “Minchia, una bomba vero”. “Ora me l’accatto. Stasera faccio pomata in discoteca, ci pensi che toco di fronte a quegli scimuniti che devono fare gli antimafiosi per forza?”. Conversazione media tra due picciotti palermitani non mafiosi ma cerebralmente pronti per andare al seguito dei picciotti quelli veri. Fatta di fronte a una delle tante vetrine di Palermo che orgogliosamente esibiscono la novità stagionale di una catena commerciale cittadina. Un’ideona, un colpo di genio come quelli che ci consentono di competere (in minchioneria corso progredito) con chiunque al mondo. Perché non dobbiamo mai farci mancare niente.
E ora passiamo dall’entusiasmo ruspante dei due picciotti alla conversazione ragionata tra un normale avventore e il direttore di uno dei negozi che promuovono il proprio particolarissimo “made in Italy”. Si sussurra che l’abbia avuta lui l’idea rivoluzionaria. Che sia lui il creativo. E per questo già lo chiamano il Bill Gates del Papireto. “Mi scusi signor direttore, ma le sembra il caso di esporre quella maglietta in vetrina? Sembra quasi che la mafia sia una cosa di cui andare orgogliosi…Con le immagini dei boss mafiosi, poi…”. “Ma caro lei, non è che qui noi negozianti dobbiamo fare la morale. Mica facciamo i preti o i filosofi. Noi qui dobbiamo vendere. E le magliette piacciono. E tanto. Quante ne abbiamo vendute oggi Santino? Diccelo al signore”. “Sì, non lo metto in dubbio che voi dovete vendere. Ma sa, c’è anche un altro problema. Un problema più grande, almeno per me: di non fare sembrare la mafia una cosa normale, o addirittura una cosa positiva, di cui sfoggiare il nome con orgoglio sul proprio petto”. “Normale dice lei…Ma certo che è normale. E’ che qui ne hanno voluto fare una tragedia, con questi gargarismi da corteo e pianti continui, e tutte queste manifestazioni fatte solo per prendersi qualche sovvenzione. La gente è cinica, dottore. E cosa non farebbe per guadagnare…Ma la delinquenza è dappertutto. Mi sa dire lei in quale città non ci scappa un morto ammazzato ogni tanto, soprattutto nei mesi estivi? Noi cerchiamo proprio di sdrammatizzare questa cosa, di dare almeno la possibilità di sorriderne a dei giovani che già non trovano lavoro per colpa dello Stato. Ma perché devono essere disoccupati e accupati?, mi perdoni il bisticcio di parole. La vita dev’essere una cosa leggera, scherzosa. Se no davvero una valle di lacrime diventa”.
L’avventore ci riflette un attimo, barcolla appena davanti a tanta baldanza dialettica, poi riprende. “Ma senta, abbiamo fatto tanto noi palermitani per scacciarci di dosso questa immagine della mafia, ce la siamo portata sulla fronte per più di un secolo. Ma l’ha visto che in Germania perfino ai mondiali di calcio hanno accusato noi italiani, non dico noi siciliani, di essere mafiosi? Ma lei non si sente andare il sangue alla testa quando i leghisti dicono che i meridionali, e noi siciliani soprattutto, siamo mafiosi? Come fa a mettere nelle sue vetrine una specie di certificato doc?”. “Ma caro signore, intanto che la mafia sia nata in Italia è un dato di fatto. Potrebbe mai smentirlo? Basta vedere il Padrino. Gliel’abbiamo portata noi in giro per il mondo. E allora meglio dirlo chiaro. Ridendoci sopra. Proprio come fa un bambino quando compie una marachella. Me lo dica, me lo dica: lei a un picciriddu lo perdona più volentieri se nega la sua marachella o se la ammette ridendoci sopra? Ma lo sa quanti turisti giapponesi e quanti turisti tedeschi si fanno fotografare con la maglietta addosso? Noi in questo modo diamo il nostro contributo allo sviluppo della Sicilia. Certo molto di più di quelli che distruggono la nostra economia con indagini costosissime o spaventando gli stranieri con immagini lugubri e strazianti delle nostre città”.
“Be’, mi scusi se insisto. Ma io credo che noi dovremmo essere soprattutto grati a quei siciliani che hanno rischiato la vita o addirittura l’hanno data per cancellare l’immagine della mafia dalla pelle della Sicilia”. “Ma che vuole dire dottore, che lei preferiva quelle magliette che andavano di moda dieci anni fa con la foto di Falcone e Borsellino e che hanno fatto guadagnare i cosiddetti antimafiosi per due anni interi, che ci hanno comprato ville e palazzi speculando sulla morte di quei due giudici onestissimi? Lei che è attento alla morale, che mi dice di una maglietta che porta la foto di due morti che ridono? Davvero così si può speculare su una tragedia? Ma che parere ha lei, mi perdoni, di chi trasforma un ragazzo o una ragazza di vent’anni in una specie di lapide vivente, con quel santino addosso? Le sembra una buona pubblicità per la Sicilia? Ma un ragazzo avrà pure il diritto di ridere, santa Rosalia santissima!”.
Il ragionevole avventore rimedita perplesso su quelle parole così genuinamente cariche di vitalità. Ma un dubbio lo attraversa. “Mi perdoni se insisto”. “Ma le pare?” interloquisce il direttore assai suadente. “Io mi chiedo però se sia giusto scherzare così su un problema, diciamo pure un dramma, che ha lasciato negli anni, a Palermo e non solo a Palermo, centinaia e centinaia di vittime, e migliaia di familiari che non si danno pace, che hanno avuto la loro vita segnata per sempre. Non crede che il loro dolore andrebbe rispettato?”. “Ma che dice dottore? Certo che io lo rispetto. E’ un loro dolore privato nel quale io non mi permetterei mai di intromettermi. Sa anzi che cosa le dico? Che io ho la massima pietà di quelle persone, e ogni volta che ne vedo qualcuna in televisione -perché diciamolo, un po’ ci tengono a finire in televisione- provo un senso di compassione, meschini loro. Ma anche loro devono rispettare i miei affari privati. Non è che queste magliette le vende lo Stato, allora sì che capirei…”. “Ecco, appunto. Lei non ha paura, che so, che la magistratura possa requisirle le magliette?”. “Ma che dice, dottore, non è un reato vendere le magliette. Mica sono pornografiche. Mica ci sono scritte su delle bestemmie. Allora sì che potrebbero dirmi qualcosa. Ma così, che cosa dovrebbero fare, la censura sulle magliette che piacciono o non piacciono? E che siamo, in un regime comunista? E poi guardi, le dico una cosa. Facciano pure la censura. A me mi fanno solo pubblicità. Avrò la fila qui dietro e ne venderò a tonnellate al mercato nero. Poi si mettano pure a fermare i ragazzi che le portano, invece di prendere gli zingari e i drogati che vengono qui a rubare a noi commercianti onesti”.
“Scusi, direttore; scusi sa, glielo dico solo per scrupolo, poi non parlo più. Ma le pare il caso di mettere in vetrina delle magliette così proprio in questi giorni? Siamo vicini all’anniversario della strage di via D’Amelio, quella in cui vennero uccisi il giudice Borsellino e la sua scorta. E proprio mentre servirebbe un po’ di riflessione sulle responsabilità di noi tutti, mentre dovremmo ricordare chi ha perso la vita anche per noi, incoraggiamo i nostri giovani a scherzare con la mafia, a tornare a dire ‘siamo mafiosi’ con lo stesso orgoglio vanitoso di mezzo secolo fa?”. “Caro dottore, io mezzo secolo fa non c’ero e non so di che cosa stia parlando. Io mi farò il segno della croce per ricordare il giudice Borsellino, buon’anima. Ma con tutte le volte che ci sono anniversari di morti da ricordare, specialmente in estate, noi non venderemmo più queste magliette, ci pensa cortesemente? E lei può proibire a un commerciante di fare commercio onesto solo perché ci sono anniversari tristi? Sa come dicono i ragazzi, beati loro? ‘Fatemi godere la vita’. Dicono così, no? E hanno ragione”. L’avventore ragionevole annuisce. “Sì hanno ragione, i ragazzi”. Poi esce rimuginando a testa bassa: a proposito, come dicono quando qualcuno se ne frega di tutto e di tutti? Ah già, ‘bastardo dentro’.
admin
Next ArticleCentrosinistra e questione milanese