Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Lugano (più) bella. Con Paolo Borsellino
Ogni tanto arrivano gli anniversari. I “nostri” anniversari. Quelli delle date che hanno segnato la nostra vita. Domani è il 19 luglio. E il 19 luglio è Paolo Borsellino con i “suoi” poliziotti. Compresa una ragazza sarda che si chiamava Emanuela e di cui venne ritrovata una mano a non so che piano. Palermo come Beirut. E noi, la quinta o sesta potenza economica mondiale, messi in ginocchio da un clan di corleonesi guidati da un semianalfabeta. Nessun mistero, nessuna dietrologia, era lui, Totò Riina il vero capo, la storia ha queste contraddizioni. Certo, non era il solo a cui Borsellino desse fastidio. Per questo i giudici hanno sempre privilegiato, per i grandi delitti di mafia, la spiegazione della “convergenza di interessi”. Io qui voglio ricordare un giudice minuto e di ferro al quale mi ero affezionato anche se non lo avevo mai conosciuto troppo bene, mai intimamente direi, come mi era capitato invece con Falcone. E non voglio ricordarlo, in questa vigilia, rievocando l’ultima sua serata pubblica alla biblioteca di Palermo, di cui ho scritto più volte senza mai riuscire a impedire ai miei occhi di appannarsi. Voglio ricordarlo invece, sorridendo di malinconia, come lo vidi in un tardo pomeriggio a Lugano, negli anni ottanta. Era venuto in Svizzera per partecipare a un programma televisivo sulla mafia. C’era con lui la moglie Agnese, dolce e piccola come lui. Era timido, impacciato. Esattamente come nessuno, vedendolo o sentendolo parlare, avrebbe pensato che Riina fosse il capo dei capi della criminalità mondiale, così nessuno, vedendolo o sentendolo parlare, avrebbe pensato che Borsellino fosse uno dei massimi rappresentanti dello Stato coraggioso e impegnato per la prima volta contro la mafia. Nessuno avrebbe pensato che quel signore timido avesse la forza di non piegare la schiena nemmeno di fronte a gente in armi.
Si guardava intorno quasi perso, racchiuso e quasi imbozzolato nella sua buona educazione di ragazzo borghese di metà Novecento, che non aveva studiato l’inglese e lo pronunciava (teneramente) con la dizione francese. La signora Agnese lo accudiva e lo proteggeva con gli occhi, contenta comunque di essere in trasferta. Domani ti porto in Svizzera, le avrà detto lui il giorno prima, con l’aria da trionfo di chi fa un grande regalo alla moglie e la fa uscire -per una volta!- da una vita di prudenze e privazioni. Loro due da Palermo a Lugano, proprio come i soldi riciclati. Ma dall’altra parte della vita. Davvero me lo immagino: domani ti porto in Svizzera. Cara signora Agnese…Per andare a parlare di mafia e per incontrare altri che parlano di mafia… Ma poi seppe trovarle davvero la “vacanza”. Mezz’ora verso il tramonto. Chiesero il permesso ai loro ospiti televisivi e da soli fecero una passeggiata lungo il lago. Era una giornata tersa, si tennero o almeno io li vidi uscire sotto braccio. La sua vita era fatta così. E di nuovo mi si appannano gli occhi, accidenti…
Nando
Next ArticleGiuliano e Heidi. Cartoline da Genova