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Chapeau, Montanelli! Non immaginavo…
Devo proprio confessarlo. La lettera di Montanelli pubblicata oggi dal “Corriere” mi ha affascinato. Per chi non l’avesse letta, è una lunga lettera scritta nel ‘44 da San Vittore al prefetto della Milano occupata dai nazisti, Parini. Piena di dignità, di galantomismo (così si diceva…), di rispetto per gli altri e per se stesso (nel più nobile senso) prima di tutto. Montanelli ci tiene non a discolparsi dall’accusa di essere un antifascista, cosa della quale si prende tutte le responsabilità, ma dall’accusa di essere un traditore. E spiega perché e quando e come si distaccò dal fascismo, sin dal ’38. E’ il racconto efficacissimo delle contraddizioni dell’élite liberale di un popolo. Trasuda il progressivo disprezzo per chi fa una guerra che perderà, per chi vende i suoi sudditi allo straniero, per chi -ecco i dettagli impareggiabili- tiene uno come Alfieri a fare l’ambasciatore a Berlino. E tante altre cose che vi invito ad andare a leggere.
Però lo ammetto: non avrei mai creduto che Montanelli, prima della sua battaglia con Berlusconi, avesse avuto così alte fiammate di umanità “libera e forte”. L’ho sempre ritenuto capace di impennate di orgoglio altissime. Ne ho anche capito la rottura degli anni settanta, la scelta, comunque coraggiosa, di fondare il “Giornale” contro il conformismo di sinistra della stampa di allora e che aveva conquistato il “Corriere”. Ma ne ho anche conservato il ricordo di scritti razzisti da fare paura, oltre che il ricordo di una cieca insensibilità per le ragioni dei ribelli ai regimi fascisti (cui contrapponeva, invece, molta sensibilità per quelle dei ribelli ai regimi comunisti). E poi quella spinta, cieca e anche cinica, a difendere le ragioni del potere politico che pure punzecchiava dalla sua redazione. Ho ancora sulla pelle quel “il figlio comunista di Dalla Chiesa” sparato a tutta prima pagina sul “Giornale” per delegittimare le mie accuse contro il potere democristiano andreottiano a ridosso dell’omicidio di mio padre. Conservò per me un’antipatia viscerale, espressa nei suoi libri e articoli, specie durante le elezioni per il sindaco di Milano nel ’93.
Venne Mani Pulite, il suo schierarsi con i giudici, e poi la rottura con Berlusconi (con cui però era convissuto per quindici anni), e la fondazione della “Voce”. Fu proprio un giornalista della “Voce”, Carlo Mazzuca, che volle farci incontrare. Fu gentile, io pure. Mi feci firmare un volume della sua “Storia d’Italia”, quello sul medioevo, che mi era stato regalato dai miei nel Natale del ’67. L’ho sempre rispettato per il “dopo”. Ma ho pure sempre provato il retrogusto amaro di chi sospetta di stimare qualcuno sol perché ora sta dalla sua parte. Contro Berlusconi, appunto. La lettera di oggi, non cancella le amarezze vissute. Ma cancella senz’altro quello sgradevole sospetto.
Nando
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