Una sera con Gaber. La libertà non è…

Lo so, sono stato latitante. Scusate l’assenza. Sono andato, tra l’altro, al Festival Gaber di Viareggio venerdì sera. Ed è stato bellissimo. Non solo per come Giampiero Alloisio, cantautore genovese, aveva organizzato i giri felliniani di una band che, con indigeni e villeggianti al seguito, suonava le canzoni di Gaber sulla spiaggia sotto le stelle. Ma anche per il clima di nostalgia che ho trovato. Nostalgia per un artista che non si è mai accontentato delle ragioni apparenti, delle ideologie che collocano dalla parte giusta. Ci ho pensato rileggendo i suoi testi prima di andare al dibattito con Capanna e Cardini (bisognerebbe sempre prepararsi quando si viene invitati a un convegno…). Ci ho pensato riascoltando alcuni dei suoi brani. “Far finta di essere sani”, per esempio. Bellissimo, geniale. Aveva ragione il vecchio professor De Maddalena, che ho visto qualche mese fa malfermo sulle gambe – quasi sollevato da terra – mentre passeggiava in via Francesco Sforza e che non ho avuto il coraggio di fermare; aveva ragione lui, voglio dire, quando alle lezioni di storia economica ci ammoniva sulla necessità di rileggersi i classici ogni dieci anni, perché ogni volta si capisce di più e diversamente dalla volta prima. Gaber sentito oggi è un’altra, più grande cosa. Avendo in testa quello che stava accadendo in parlamento, ho riflettuto su come sia strabenedetto chiunque sappia tenere alta l’ironia, la capacità critica, quando la sua parte sta vincendo o ha vinto. Ho pensato che chi di noi vuol essere davvero libero si trova perennemente in viaggio. Un viaggio difficile, irto di spine. Costretto a essere solo e a sentirsi in squadra (una patria, un’idea, un “bene comune”). Costretto a giudicare per un verso sempre con gli stessi occhi, per non “tradirsi”; ma anche, per altro verso, a sapere cambiare gli occhi, o almeno lo sguardo, man mano che si susseguono le situazioni davanti a lui e che gli accadimenti gli insegnano qualcosa di nuovo. La concretezza, appunto: “se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”.

Se la prima sera del festival, anche senza il grande concerto (che c’è stato il giorno dopo) si sono contate circa quattromila persone, qualcosa deve pure contarci questo bisogno di libertà mentale. Il mondo non è diviso in due, per quanto in molti ce la mettano tutta, ma proprio tutta, con i loro comportamenti, per farcelo pensare. Individui, partiti e Stati. E noi, meno che mai oggi, possiamo permetterci di cadere nella trappola. Piuttosto ricordiamoci sempre – ahi quel deserto sull’indulto davanti al senato! -, che “la libertà non è star sopra un albero e neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Saluti, Giorgio. 

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