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Diario di Stromboli/1
23 agosto. L’alba del Malandrino
Sono arrivato a Stromboli stamattina. In nave. No, non ho preso l’aliscafo da Reggio Calabria o da Tropea. Con quello sarei potuto arrivare ieri pomeriggio. Con Emilia abbiamo preferito farla più lunga. In treno da Lamezia a Napoli. E poi partenza da Napoli in nave con arrivo stamattina. Sì, perché l’incanto è proprio questo: arrivare a Stromboli all’alba. Questo è lo spettacolo unico, irripetibile da qualunque altra isola. La notte prima si gira sulla nave, si guardano le luci sulla costa e sulle isole napoletane, si sta sul ponte finché non fa troppo freddo, il maglione a Stromboli non si porta. Poi si rientra e si vedono gruppi di ragazzi che girano con lo zaino e ne intuisci idee, simpatia e cultura da come stanno insieme, da particolari minimi visto che in genere sono all’apparenza uguali. In ogni caso danno quasi sempre l’impressione di una bella gioventù. Averne le nostre città piene…
Al mattino sveglia alle cinque e mezzo, e subito caffè. Intanto gli azzurri, i rosa, i violetti, i ciclamini di mare e cielo si mescolano finché si vede il vulcano con i suoi bagliori. Nero, maestoso. Tantissimi fotografano, filmano, fanno "oohh" se è la prima volta che vengono. Le coppie più adeguate mentalmente allo spettacolo invece si tengono abbracciate. Silenziose. Incantate. Sanno che quegli spettacoli non si fissano, per come li vivi, da nessuna parte. Che sono incomunicabili con le pure foto. E che se hai perso tempo a fare le foto o i film, quando li rivedi non hai comunque emozioni da rivivere. Era da tre anni che non venivo a Stromboli, dopo sei anni consecutivi che ci ero venuto. Dopo il ruggito terribile del vulcano e l’onda anomala dell’autunno del 2002 Emilia si era spaventata. Si favoleggiava della imminente spaccatura a metà del vulcano (oddio, magari si spacca mentre scrivo e ci faccio la figura del demente). Poi abbiamo visto "La meglio gioventù" con quel finale dell’arrivo a Stromboli e ci ha preso una nostalgia irresistibile.
Eccoci qua. Eccoci alla colazione al "Malandrino", il bar che accoglie dalle 6 del mattino i nuovi arrivati. La signora alla cassa, quando le chiedi due cornetti e due cappucci, ti dice prima di tutto "Benvenuto". E non sa chi sei. Signora, ma io l’abbraccio. Ma chi dice più "benvenuto" in una città o in un paese? Poi il sole si fa caldo. Si giunge alla casa, in località Piscità. La nostra amica che l’affitta ce la fa trovare pulita e decorosissima. Noto subito che ora c’è anche la lampada sul terrazzino. L’ultima volta non si poteva aavere perché i dirimpettai, degli zotici da faida isolana, non volevano. Dice che li disturbavamo. E che accendavamo la luce per vedere in casa loro. Dove ovviamente si vedeva perché la luce la tenevano accesa loro… Il mare è scuro, un po’ meno limpido che lo Jonio, anche se da qui a fine mese, con il rarefarsi dei villani-con-barca, tornerà pulito anche lui. Dal letto vedo direttamente il mare, e questa è una delle cose che mi riempie di gioia. E mi fa sentire un vero privilegiato. E’ molto ventilato, in questa parte dell’isola, dove pare che si diano ritrovo diversi "vip". Napolitano non c’è. Così quelli che sono venuti apposta per incontrarlo ci restano con un palmo di naso. Mi ha fatto piacere però sentir dire dal tassista che ci ha accompagnato a casa che "come strombolani siamo onorati che Napolitano sia diventato il presidente della Repubblica".
Dopo un po’ di letture e avere scritto un articolo per l’Unità (non vi dico l’impresa di spedirlo, alla fine l’ho dovuto dettare perché qui non si prende quasi mai la rete), siamo andati a trovare una grande amica che ha trasferito qui il suo quartier generale per nostra "colpa": Lidia Ravera, che ha concluso qui il suo ultimo romanzo, "L’eterna ragazza", uscirà il 20 settembe. Lidia ha un piano terra d’incanto in una villa sul mare. Si sveglia al mattino presto e fa subito il bagno. Non dico altro. Se sta qui quattro o cinque mesi all’anno la capisco. E un po’ la invidio.
Nando
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