Diario di Stromboli/4

26 agosto. Profumo di terra

Dalle otto alle nove c’è il gabbiano. Ogni mattina, di fronte al nostro terrazzino, in cima alla protuberanza più alta dello scoglio nero che fronteggia il mare a trenta metri da noi, lui arriva e si ferma con le zampe ritte, il becco e lo sguardo a nord. Sta fisso in quella posa come se fosse una graziosa,  esilissima statua che sormonta i massi della scogliera. Fa tutt’uno con le onde blu del primo mattino. Poi se ne va. Ho cercato di convincere Emilia che è un mio pensiero per lei. Che ho pagato un pescatore che lo venga a mettere lì un’ora al giorno. Anche perché l’amico volatile è davvero di una puntualità strabiliante. Nel venire e nell’andarsene. Ma Emilia non abbocca. Non è come quegli uomini d’affari americani che un giorno a Palermo ringraziarono un nostro amico dirigente di banca per averli portati a cena a Mondello e avere fatto (pensavano loro) arrivare le lampare dal mare per rendere la serata più suggestiva.

A Stromboli i profumi più belli, quelli che ti piantano l’isola nel cuore, non sono i profumi del giorno. E nemmeno quelli della sera. Sono quelli dell’alba e soprattutto quelli tra il tramonto e la sera. In quello spazio sospeso di un’ora, in cui la natura si scatena a provare tutte le combinazioni di colori possibili, io non so che cosa avvenga. Ma certo si sprigiona un profumo intenso, inebriante, che viene dalla terra, non dall’aria. Se sia la lava a emetterlo quando sparisce il sole, o se sia la terra che ha assorbito i profumi del giorno a rilanciarli dopo averne fatto un’altra cosa (un pirla manager direbbe: dopo avergli messo del valore aggiunto), è difficile capirlo. Non ci si riesce. Poi, in ogni caso, il profumo di base prende sfumature diverse se si congiunge con i gelsomini o con gli oleandri o le erbe sparse, insomma in base a come si realizza l’armonia tra terra e aria.

Oggi il mare è stato mosso, dalle nostre parti (le più ventose, le più "eoliche") è stato praticamente impossibile fare il bagno. Ne ho approfittato per finire il capitolo sulla madre di Peppino Impastato, la grande Felicia. E anche per andare avanti nella lettura di un libro che mi ha regalato Valeria, ex (purtroppo) impiegata alla mia segreteria al ministero. Si chiama "Il resto di niente", è la storia di Eleonora de Fonseca Pimentel dentro la storia della rivoluzione napoletana di fine settecento. Un libro bello, di cui mi aveva già parlato un amico napoletano trapiantato a Milano, Giorgio Calvello. Per lui è orgoglio napoletano. Per Valeria è orgoglio di donna. Vedi come cambiano i punti di vista…Lo ha scritto (bene, con qualche ricercatezza di troppo) Enzo Striano. Penso che tornerò a parlarne. Qui mi limito a osservare quel che ci siamo detti e continuiamo a dirci con Lidia. Dove la natura è bella si lavora di più e meglio. Io la teoria che il freddo e la bruttezza esteriore spingono a lavorare non la condivido e soprattutto non la capisco. Davvero dubito che il lavoro sia figlio del brutto.

Per la cronaca degli incontri: a) trovato Enzo Balboni, costituzionalista insigne della Cattolica di Milano; b) trovato Alessandro Pansa, grande dirigente dell’industria pubblica, mio ex allievo (in gambissima) alla Bocconi. Così è qui. Per ora, camminando, non mi sono ancora dovuto voltare dall’altra parte.

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