Diario di Stromboli/8

30 agosto. Cavalloni finali

E così Stromboli se ne è andata. Ultima giornata dal fronte eoliano. Come sempre in questi casi, ho appena chiesto a Emilia se vuole passare "una serata insieme a Stromboli", come se ci dovessimo arrivare in elicottero stasera, giusto per non vivere la malinconia dell’addio. Risposta: sì, con un certo grado di divertita contentezza. Andremo a cena da Lidia, dove oggi pomeriggio tornando dalla spiaggia abbiamo sentito profumi e odori sopraffini. Sul fronte del mare novità aspre. Il vento non è affatto calato. E’ diventato fortissimo, le onde quando si infrangono sugli scogli si scagliano spruzzando fino a cinque-sei metri d’altezza, l’acqua arriva spesso a mezza spiaggia. Poche persone si sono azzardate a fare il bagno approfittando di qualche spiraglio di tre-quattro minuti di mare normalmente mosso; un padre che faceva lo spiritoso a portar la bimba sugli scogli se l’è vista portare via dalle onde e c’è stato un bel daffare per ritirarla su; quando è arrivata l’onda più forte l’ho capito un secondo prima dal lampo di terrore che ho visto negli occhi delle persone sdraiate davanti a me, mentre leggevo con le spalle al mare. Morale: può darsi che domattina l’aliscafo non ce la faccia a partire, già oggi uno è rimasto a Napoli (e qualche passeggero a Stromboli). Devo dire la verità: se mi accadesse di restare qui prigioniero contro la mia volontà e per cause di forza maggiore non mi dispererei. In ogni caso punto su Milano.

Inutile dire che il bagno non l’ho fatto e questo un po’ mi secca. Alla fine quest’anno non ho scialato molto. Per ripicca verso l’isola stamattina mi sono fatto due granite, una alla mandorla al Canneto, una al gelso da Ingrid nella piazza grande (della serie cartesiana: tu non mi fai fare il bagno? E io mi ciuccio due granite!). Naturalmente sempre parlando di progetti con Emilia e leggendo i quotidiani, lettura dalla quale mi sono distratto un attimo quando mi sono accorto che vicino a me sedeva un infiltrato con "Libero". In spiaggia lunghi scambi di previsioni (parte? non parte? pare che parta; sempre su nave e aliscafo) e molte richieste sulla gloriosa casa editrice Melampo da parte di un gruppo di colte signore milanesi. Alternanza sole-vento-cielo settembrino e lettura del "Resto di niente", il libro su Eleonora de Fonseca Pimentel al quale mi sono dedicato in questi giorni (oh, non è che sono lento; è che il libro è di 400 pagine e dà pure da pensare).

Mentre ero infilato in questa piacevole combinazione di chiacchiera-lettura-contemplazione, ho fatto pure una straordinaria scoperta intellettuale, a conferma che l’ozio non sempre rende più flaccida la mente o la fantasia, anzi. Ho capito con una folgorazione perché quando ero bambino, ma forse succede ancora adesso, le onde grandi venivano chiamate "cavalloni". Ho fatto questo esperimento: ho provato a osservarle venire verso riva stando loro non di fronte ma di fianco. Ecco, se lo fai vedi che la schiuma, ogni linea di spuma che viene dal mare, sembra una fila di cavalli bianchi senza testa, con l’irregolarità dei flutti che disegna le zampe al trotto veloce (non al galoppo) di una corte infinita di destrieri. Poi quando le onde si inseguono veloci hai anche la sensazione del galoppo. L’idea si fa più avvincente se guardi tutto da sotto una tettoia, di modo che in ogni caso le teste dei cavalli, se ci fossero, non potresti vederle. Allora l’idea dei cavalli è davvero totale.

In ogni caso domani si parte. Addio Stromboli bel suol d’amore. Non me ne andrei  mai via. Dice che qui cercano un maestro… Solite romanticherie… Ci rivedremo prima della prossima estate.

Leave a Reply

Next ArticleSi ricomincia. Dopo Stromboli...