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Viale Mazzini. Il cavallo malato
(l’Unità, 12 settembre 2006) – Il tema ormai è chiarissimo. La Rai inquina il senso civico del Paese. E la conseguenza è altrettanto chiara. La politica deve intervenire. Drasticamente, senza veri né falsi pudori. Lo scandalo di Luciano Moggi protagonista incontrastato da Simona Ventura alla prima partita di campionato pone questioni che vanno oltre il calcio. Questioni cruciali, di sistema. Ed è bene saperlo.
Certo, la sensazione di milioni di tifosi che chi li ha truffati truccando i campionati stia ancora lì a comandare sul mondo calcistico-televisivo non è una quisquilia. E nemmeno lo è la rabbia sacrosanta dei giornalisti di Raisport, quelli con la schiena diritta intendo, nel vedere la loro azienda ancora prona al vecchio padrone e alla sua cordata. Ma ora il problema urgente, ineludibile, starei per dire drammatico, e che – come tale – va affrontato di petto, è ben altro: è quello della funzione generale del servizio pubblico. La Rai è la più grande (nel senso di potente e pervasiva) agenzia culturale del Paese. Informa, produce senso comune, trasmette valori e visioni del mondo. E dunque: può la Rai diseducare, può – in forma diretta o subliminale – trasmettere disvalori, legittimare – in teoria (perché anche questo è successo) o di fatto – comportamenti antisociali? Risposta: non può. Punto e basta.
E non può perché la Rai, come servizio pubblico, deve informare, intrattenere, divertire sempre aderendo ai grandi riferimenti culturali tratteggiati dalla nostra Carta costituzionale. Quello è l’orizzonte, quelli sono i valori condivisi su cui si fondano le nostre istituzioni. Le stesse che alla Rai si affidano e la Rai pagano perché promuova, con le sue specificità e libertà, la crescita civile, culturale del paese, la qualità (anche ludica) del suo tempo libero. È chiaro a chiunque che una televisione precettistica e pedagogica sarebbe una pazzia. Ma nella programmazione televisiva una pedagogia di fondo alla fine, come in ogni cosa, come in ogni umana vicenda, emerge. Attraverso il pluralismo dei punti di vista (anch’esso valore costituzionale), le provocazioni culturali, le eresie di pensiero, una pedagogia emerge. Per intendersi. Una bella fiction che susciti ammirazione verso Paolo Borsellino (nessuna retorica, bastano i fatti) esprime una pedagogia opposta rispetto a una bella fiction che susciti ammirazione verso Luciano Liggio (del quale pure, sul piano dell’interesse storico, ha senso riascoltare le interviste). Il problema dunque non è se invocare o no la censura sulle opinioni. Il problema è se, con tutte le varietà di pensiero possibili, chi guida la Rai conosca e rispetti e sia in grado – per propria cultura e sensibilità civile – di rispettare la sua «missione». Purtroppo questo non sembra affatto. Da troppo tempo, anzi, la Rai sembra impegnata in una irresponsabile azione di sabotaggio dello spirito pubblico costituzionale.
È un’affermazione esagerata? Gratuita? Domandate allora a un insegnante quale sia il maggiore ostacolo che incontra nel tentativo di dare una decente educazione civile ai suoi allievi. Una volta, eventualmente, egli avrebbe risposto «la famiglia del ragazzo». Ora, quasi automaticamente, mette al primo posto «la televisione». Sempre; e senza fare alcuna differenza tra Rai e tv private. È la tv, il mezzo omologato, che disfa ogni giorno ciò che al mattino la scuola costruisce. È possibile, vien da chiedersi, che lo Stato paghi centinaia di migliaia di insegnanti per formare ai valori della convivenza civile milioni di bambini e di adolescenti, è possibile che questi insegnanti (non tutti, ma la maggior parte sì) si impegnino quotidianamente per uno stipendio che apparirebbe da pezzenti a qualsiasi conduttore o regista o dirigente televisivo, per poi vedere rovesciato il senso del proprio lavoro da chi sta, parla, gesticola in video?
E ancora. Perché, soprattutto nelle zone più difficili del Paese, lo Stato deve impegnare energie, fatiche e perfino vite umane per radicare un senso della giustizia, un’idea almeno primitiva di ciò che si può e non si può, si deve e non si deve fare, deve cercare di costruire rispetto per il principio di legalità e chi lo rappresenta, se poi il servizio pubblico ammannisce gli eroi negativi, chiama Cesare Previti poche ore dopo la condanna ad attaccare in prima serata i suoi giudici, o Luciano Moggi a pontificare contro i suoi accusatori alla prima giornata di campionato, quella che dovrebbe ratificare l’inizio della sua lunga squalifica per colpe certe e gravi?
Obiettare con sussiego che la televisione è in fondo lo specchio della società è un alibi da cialtroni. Sia perché il servizio pubblico deve per definizione porsi avanti, rispetto ai comportamenti sociali diffusi o che si presumono diffusi (un insegnante non può bestemmiare in classe perché per strada si bestemmia, né un magistrato può violare la legge perché il Paese non ama la legalità). Sia perché, soprattutto, nella società dell’informazione è piuttosto la televisione che (in buona parte) «fa» la società, la forgia, la manipola. Prova ne sia che le aspirazioni professionali e il linguaggio e i miti dei giovani sono sempre più l’esatto riflesso del «messaggio» televisivo.
Il fatto vero è che in Rai volgarità, ignoranza, disprezzo per le idee di giustizia e di decoro morale vanno da anni a braccetto. L’azienda sembra proprietà, terra di scorreria, di una vera e propria banda trasversale alle reti e ai programmi, la quale, dal reclutamento delle vallette all’operazione Moggi, manda alla deriva l’azienda e rischia di mandare alla deriva anche il Paese, quasi a volere confermare la profezia pasoliniana sulla potenza regressiva della televisione. Bene. Questa banda che domenica scorsa ha imposto Moggi in trasmissione va sbaraccata. Subito. Questi sono i compiti della politica connessi con le sue responsabilità più alte. Non sistemare i fedelissimi ma restituire finalmente una funzione positiva a un servizio pubblico decisivo per la fibra civile del Paese.
Quanto al ministro della Giustizia, quella comparsata al fianco di Moggi onestamente ce la poteva risparmiare. C’è solo da sperare che non sia presagio di altre, future, infelici rappresentazioni. E quanto poi a chi ha avuto l’idea di assumere Moggi come commentatore televisivo di cose calcistiche, ci permettiamo di dargli un modesto suggerimento: già che c’è, assuma come commentatori di cose economiche e finanziarie Consorte e Fiorani. Ne capiscono e fanno audience garantita. E in ogni caso non ci si dimentichi mai di quel brav’uomo di Vittorio Emanuele di Savoia. Anzi, com’è che in Rai non ci hanno ancora pensato? Potrebbe commentare lui le cerimonie del 2 giugno…
admin
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