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Se il violino costa meno del carcere
Mai visto un uso più sublime della musica. Giovedì e venerdì sera l’accademia Santa Cecilia di Roma ha proposto al pubblico l’”Orquesta sinfonica juvenil de Venezuela Simon Bolìvar”. Già un’orchestra che si chiama Simon Bolìvar mi piace e mi alletta per definizione. Se poi è un’orchestra giovanile fatta di ragazzi o addirittura bambini sottratti alla strada e alla devianza, mi piace e mi alletta ancora di più. Me l’aveva segnalata con entusiasmo Luca Del Fra, che -tra le sue molte attività- segue le musiche e i conservatori per l’Unità. Mi aveva detto che questa è un’esperienza unica al mondo, che non ce ne sono di simili, che è il coronamento di una grande intuizione avuta trent’anni fa da un grande maestro, e che nella mia veste e con le mie deleghe avrei dovuto andare a sentirla. Anche per trarne lezioni e spunti per l’Italia.
Sono andato giovedì sera. E credo di avere assistito a qualcosa di geniale e bellissimo. Mai ho visto un uso sociale della musica così sensato ed entusiasmante al tempo stesso. L’idea di chi ha fondato questo movimento, José Antonio Abreu, è che se un ragazzo è in difficoltà bisogna regalargli uno strumento musicale. Sì, regalargli. Perché costa sempre meno che mantenerlo in carcere. Dove non andrà a finire se si appassionerà alla musica. Sono nate così in Venezuela centinaia di orchestre giovanili, di cui la Simon Bolìvar è una sorta di “nazionale”, composta da 250 unità e diretta da un ragazzo di 25 anni, Gustavo Dudamel, che è uno di “loro” e che dirige divinamente. Il pubblico è andato in visibilio, e non solo per la spinta gioiosa dei giovani venezuelani radunati nel loggione dell’auditorium. Si è sentito suonare benissimo Beethoven per tre quarti d’ora. Poi è stata la volta della musica sudamericana. E lì la gioia dei musicisti, tra cui anche un bimbo di otto anni, è diventata contagiosa. Cori, controcori, strumenti issati sulle spalle con divertenti sincronie, musicisti che si scambiavano il posto continuando a suonare e che suonando alzavano verso il cielo i loro strumenti. Fino alla sorpresa di vederli riemergere da un minuto di oscurità con addosso le giacche a cerniera con i colori della bandiera venezuelana. Un brivido di patriottismo ha pervaso i giovani del loggione. Una vera apoteosi. Loro, i ragazzi che altrimenti sarebbero stati destinati alla strada, erano gonfi di felicità. Io ho pensato che la musica e l’intelligenza e la sensibilità possono fare miracoli. Forse la cosa non si può copiare, ma l’intuizione di fondo va presa senza tentennamenti. In fondo i maestri di strada li abbiamo inventati noi a Napoli.
Nando
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