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Poesia. Umberto Bindi
Umberto Bindi. Chi lo ricorda? Chi ne porta depositati nella mente (e nella pelle) i capolavori di note che sapeva ricamare e fare esplodere? Chi riprova brividi della vita che si è infossata da qualche parte nel risentire “Il nostro concerto”? Lo scorso maggio il Mantova Musica Festival gli dedicò la serata inaugurale. Fu un trionfo, soprattutto (ne porta tracce anche questo Blog) quando Bruno Lauzi si produsse in una specie di romanza trascinante agitando alla fine il suo bastone davanti al pubblico in piedi. Il vecchio gruppo dei cantautori genovesi (Bindi, Tenco, Lauzi, De André, Paoli) meriterebbe davvero di essere riascoltato con una nuova dedizione, attraverso il filtro galantuomo della storia della musica italiana e delle loro e nostre biografie. La storia della diversità di Bindi, e delle sofferenze relative, merita ad esempio di essere accostata con lo stesso rispetto con cui -noi almeno- ci accostiamo al suicidio di Luigi Tenco, all’ironia a volte disperata di Lauzi, ai tormenti e alle allegrie dissacranti di Paoli e De André. Lo so, una cultura che si è fatta largo grazie anche alla nostra tivù commenterebbe con il consueto, beffardo, scaramantico, fascistissimo “che sfiga”. Io trovo in questo filone una ricchezza emotiva grandiosa, un culto della dimensione individuale che non è mai egoismo (già, guai a confondere). Nelle canzoni che fecero e che cantarono e ancora cantano quei cinque c’è un pezzo della poesia italiana del Novecento. Per questo vi invito a vedere stasera su Rai Sat alle 21 lo speciale dedicato a Bindi. C’è un’ampia ripresa della serata mantovana mescolata a del bellissimo materiale d’archivio. Purtroppo da Mantova manca il tributo di Paoli. Il suo manager mi costrinse, per autorizzarlo a cantare quella sera, a firmare sotto mia responsabilità che la ripresa non sarebbe stata impiegata senza il suo consenso. Oh, se no che manager è?
Nando
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