Ma la Margherita non balla la taranta

E’ finita da due ore la festa della Margherita milanese. Il tempo di chiudere, mettere a posto le sedie e le bandiere, e sono qui a fare le mie brevi riflessioni. Allora.
Riflessione numero uno. La festa è costata all’incirca quindicimila euro. Anche la serata di ieri, che è stata strepitosa, con l’anfiteatro pieno grazie alla taranta e al genio salentino-bocconiano degli Sciacuddhuzzi, praticamente non è costata. Abbiamo fatto una specie di cambio merci (il metodo che ha arricchito le tivù di B. alle origini): io andrò in novembre a Lecce e nel Salento per restituire il favore ai mitici musicisti folk-pop. Insomma, si può organizzare una quattro giorni di dibattiti e divertimento con quella somma. Oggi abbiamo fatto il verso alla trasmissione della Ventura, intervallandola sullo schermo ai mondiali di ciclismo, e abbiamo scoperto che il collegamento via satellite con Cannavaro costava dieci volte almeno di più di tutta la nostra festa. Morale: mandateli a casa, noi siamo più bravi. Non parlateci più di manager. Quando ci sono i soldi sono capaci tutti.

Riflessione numero due. Non c’è bisogno dei leader nazionali del partito per fare una festa che smuova l’interesse dell’opinione pubblica cittadina. Li avevamo invitati ma erano tutti occupati. Sicché c’era stata la scuola di chi diceva “a queste condizioni rinunciamo, non è colpa nostra”, e c’era stata la scuola di chi diceva “non dobbiamo arrenderci, Milano non può dipendere da Roma”. Ha vinto la seconda. Con piena soddisfazione. Perché abbiamo avuto più presenze e più attenzione mediatica dello scorso anno. Ma dovrà venire il momento in cui i dirigenti della Margherita (e dell’Ulivo) capiranno che Milano (con tutto il rispetto) non è Ascoli o Altamura. Per ora facciamo supplenza. Ma la questione settentrionale non è un’invenzione. Come non lo è, intendiamoci bene, la questione di Napoli o della Calabria.
Riflessione numero tre. Ieri sera, come ho detto, l’anfiteatro era pieno. E pieni sono stati spesso i dibattiti, mai scontati e anzi scoppiettanti. Affollati di gente che non era iscritta alla Margherita. Vedendo i molti giovani venuti per la taranta, e constatando che nel pubblico non c’erano più di dieci-quindici iscritti al partito (ma sì!!!), ho pensato che: a) era molto bello riempire la festa con facce mai viste, specie se giovani; ma anche che: b) dove c’è la gente quelli della Margherita (quelli che si candidano e parlano di politica, e deplorano “la lontananza della gente”) tendenzialmente non ci sono; e dove loro ci sono, all’opposto, tendenzialmente non c’è la gente, quella che legge e che segue un po’ a naso la politica. Forse è così anche per gli altri partiti. Ma a me la constatazione, la fredda constatazione, un po’ mi inquieta. Insomma: a nome di chi vogliamo parlare?

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