Intercettazioni. Il dilemma del democratico

E’ da giorni che molti amici mi chiedono che cosa pensi del decreto legge sulle intercettazioni Telecom. A volte me lo chiedono immaginando che dichiari la mia contrarietà, come già per la legge sull’indulto. No, invece; stavolta sono del tutto d’accordo con la scelta del governo, e non certo perché pensi di potere essere ricattato e voglia far “sparire le prove” il più rapidamente possibile. Sicuramente ci sono aspetti tecnici e di principio di cui tenere conto. Non solo c’è la necessità che l’”immediata distruzione” avvenga dopo le opportune verifiche e informazioni di giudici e avvocati per tutelare rigorosamente le forme ma anche i diritti degli intercettati, come mi ha spiegato ieri mattina al senato Gerardo D’Ambrosio. Ma occorre anche evitare il precedente di un decreto legge che, a causa della sua immediata applicazione, privi di fatto il parlamento del diritto di bocciarlo nei sessanta giorni previsti dalla Costituzione (a che servirebbe infatti il voto parlamentare contrario se la distruzione del materiale fosse già avvenuta?).

Ma la sostanza del provvedimento è sacrosanta. Questo è un caso di spionaggio senza precedenti in Italia. Perché un conto sono le deviazioni (già gravi) di organi che istituzionalmente possono comunque disporre le intercettazioni. Altro sono le attività di spionaggio condotte da chi nemmeno deve sognarsi di potere intercettare e investigare in proprio un cittadino. Qui c’è una centrale industriale-finanziaria che ha realizzato e pagato una prolungata attività da Grande Fratello con intenti in gran parte ricattatori. E allora: se noi legittimassimo l’idea che le notizie di reato possono comunque essere usate, anche se acquisite illegalmente, in futuro chiunque potrà essere indotto a rifare quel che ha fatto Telecom. Mentre, proprio per la inaudita gravità che questa prassi ha per una democrazia, la nostra prima preoccupazione deve essere quella che nessuno pensi più di poterne ricavare dei vantaggi. Tutto sommato il dilemma è lo stesso a cui ci troviamo di fronte quando intervengono non i cavilli giuridici ma le grandi, cruciali questioni di metodo. E’ valida, ad esempio, una confessione estorta con la tortura? Ecco perché la questione delle eventuali “notizie di reato”, per quanto importante, non può avere la precedenza sulla questione di “quale tipo di democrazia”. E poi mi danno del giustizialista, tsé..

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