Gita di classe

Non ci credo. Così urlava ridendo Fabio Grosso, ebbro di felicità, dopo il suo bellissimo gol allo scadere del secondo tempo supplementare nella semifinale contro la Germania.
Non ci credo, mi vien da dire e da gridare, sapendo che in una scuola media romana, l’Esopo, si sta già partendo per una gita di classe: destinazione Matera e i mari lucani. Cinque giorni di gita, mi è stato detto. Costo complessivo per alunno 250 euro o giù di lì. Tra viaggio, albergo e pasti probabilmente ci stanno tutti.
Quello che sconcerta è che ad anno scolastico appena iniziato dei professori sentano il bisogno di portare i loro alunni in gita, e non in gita qualsiasi ma in una bella gita lunga, la cui meta è stata scelta con criteri che mi piacerebbe scoprire (lo so, Matera, i sassi eccetera, ma allora anche Pompei, o Firenze o altre città più vicine).

Mi sconcerta però soprattutto questa prassi di organizzare gite che, sia pure a ragione, costano un quarto del salario mensile di un operaio. Molto difficilmente in queste situazioni un genitore dice di no a suo figlio; difficilmente lo costringe a rendere evidenti le sue ristrettezze economiche; difficilmente lo mette in imbarazzo di fronte ai compagni. E’ una di quelle tipiche obbligazioni sociali che rendono ancora più poveri di quanto già si sia. Mi domando perché un insegnante o un preside prima di proporre gite in giro per l’Italia non pensi anche a queste cose.

Dimenticavo: nella stessa scuola un avviso segnala il luogo e l’ora in cui si svolgerà la riunione dei genitori “per la gita delle terze in Argentina”. E vogliamo che pensino al costo dei libri di testo?

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