I soldi di Milano. Forza Francesca!

E nacque un gran dibattito su “A casa nostra”, l’ultimo film di Francesca Comencini. Un film che, come molti blogghisti sapranno, racconta di Milano e della sua fame di soldi e di successo. E che dunque viene accusato di parlar male di Milano. Colpevole di dire una bugia cinematografica perché Milano non è questa, o non è solo questa, perché a Milano c’è tanta voglia di fare bene, c’è tanto volontariato, c’è tanta solidarietà. E via ripassando l’archivio delle cose buone che avvengono sotto il Duomo.

Che pizza, ma è possibile che si debba sentire sempre la stessa solfa? Quando un film o un libro o una trasmissione televisiva colgono un aspetto urticante della vita di una città si scatena subito una pletora di critici – a volte indipendenti a volte meno – a dire che la realtà è, come minimo, “più complessa”. A indicare con abbondanza certosina i pregi cittadini che sono stati ignorati. Fu così con la celebre Treviso o provincia veneta di Germi. E’ stato così con i libri o film sulla mafia (Palermo è anche altro, c’è tanta gente che lavora onestamente, è un favore alla mafia che ne esce onnipotente, ecc.). Così sulla Calabria raccontata da Santoro. Così sulla Milano della Comencini. La quale con Milano non ce l’ha per niente, tanto da averle dedicato un articolo perfino dolce su “Diario”. E’ come quando si dice che quello ha preso la tangente. E subito salta su qualcuno che ti disegna la realtà più complessa: “ma è molto intelligente”; oppure: “è uno spirito libero”.  Ma che cos’è l’arte se non la capacità di offrire al livello più alto possibile un punto di vista? Uno degli aforismi più belli di Hesse è quello che dice (vado a memoria) che la realtà è una sola, ma esistono mille modi di sceglierne il cuore. Quando impareremo ad accettare che uno scrittore o una regista scelga il suo punto di vista in base alla propria sensibilità? Io in ogni caso dico che se una città viene strattonata quando si ritiene beata e zeppa di “eccellenze”, non può farle che bene.

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