Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono utilizzati cookie di terze parti per il monitoraggio degli accessi e la visualizzazione di video. Per saperne di più e leggere come disabilitarne l'uso, consulta l'informativa estesa sull'uso dei cookie.AccettoLeggi di più
Piccoli giornali crescono (a Catania)
Oggi ho fatto un viaggio nel passato. Oggi ho fatto un viaggio nel futuro. Ossia sono stato a Catania. Seconda giornata del convegno sulla libertà d’informazione organizzato da tre nuove (e frizzanti) realtà del panorama informativo siciliano: Casablanca, Isola possibile e Telejato (ottimo telegiornale, è a Partinico). Il regista di tutta l’operazione è stato Riccardo Orioles, in assoluto uno dei più bravi giornalisti italiani, uno dei pupilli di Pippo Fava ai “Siciliani”, che vive in dignitosissima povertà. Oggi lo ha ammesso pubblicamente: ho capito finalmente che questo mestiere lo devo fare gratis. Intanto, per aiutarsi, dorme nella redazione di Casablanca, la nuova creatura della fantasia sua e di Graziella Proto, altra “siciliana” di Fava. All’aeroporto è venuto a prendermi Lillo Venezia, anche lui redattore di quella testata di libertà e di impertinenza. Mi aspettavo il Lillo di venticinque anni fa o quasi. E’ arrivato un Lillo imbiancato, vestito come allora, con un’auto di quelle di allora. Nell’attesa ci siamo seduti nella piazza del Duomo, resa ancora più bella (devo dirlo) dall’attuale sindaco Scapagnini. Catania è una città stupenda, con un barocco meraviglioso, specie di sera. Noi eravamo nel primo pomeriggio. Per pranzo un cannolo e una malvasia (oh, yes). Guardavo Lillo e provavo per lui un sentimento diverso, molto diverso, da quello che provo in genere per i reduci sfiatati. Provavo ammirazione sconfinata. Politica, jazz, antimafia. Come è difficile restare se stessi in una città dove si perde, continuando a sfidarla con il chiodo fisso della libertà d’informazione. Otto giornalisti siciliani uccisi, praticamente come nella Russia di Putin. “L’altra campana”, “Pizzino”, “MarsalaC’è” (quotidiano, 2500 copie vendute!), “iCordai”, “Sbavaglio” e altro ancora: queste le testate che cercano nuove strade o nuove solidarietà in sintonia con le tre che hanno promosso il convegno nel bellissimo monastero dei benedettini dove ha sede la facoltà di lingue e letterature straniere.
Ho promesso che avrei parlato del convegno sul mio Blog (che serve anche a questo, se no non l’avreste mai saputo che in Sicilia c’è questo salutare fermento), poi ho lanciato la proposta di fare tesoro noi del fenomeno che oggi denuncia Furio Colombo sull’Unità: la tendenza dei poteri forti di fare a meno dei giornalisti per trovare dei tagliaecuci di agenzie. E di buttarci noi sulla rete nel modo più organizzato possibile se è vero che è finita o sta finendo la professione del giornalista. Scenari avveniristici, mai del tutto possibili, lo so. Ma Riccardo è stato d’accordo. Certo, la carta stampata; certo, un unico progetto di settimanale per la Sicilia. Ma con la rete si possono fare miracoli. Riccardo ora cammina con il bastone. Ha sempre il suo farfallino. Rievoca il passato ma si è buttato nel futuro. Immaginava, sorridendo al microfono, quando tra vent’anni si parlerà di quel giornale che ruppe il monopolio dell’informazione a Catania facendo un prodotto completamente nuovo. Un po’, ha aggiunto, come noi quando parliamo delle radio libere degli anni settanta. Sognava, Riccardo, e sembrava più giovane di una volta, dando ragione alla celebre teoria di Picasso (ci vuole molto tempo per diventare giovani). Vediamo il prossimo passo.
P.S. Mentre parlavamo di giornalismo,
di qualità e di etica professionale dei giornalisti, è venuto un giovane cronista (22-25 anni) di una tivù locale a intervistarmi. Mi ha chiesto: scusi, può ricordarmi il suo nome? Gli ho detto: Nando. Ah, bene. Allora onorevole Nando… Mi scusi ma il cognome è dalla Chiesa. Ah, ecco. Gli ho detto: abbia pazienza, ma perché mi intervista se non sa chi sono? E lui: mi han detto di sentire il sottosegretario (naturalmente per un attimo ho creduto che subito dopo mi avrebbe invitato a darci del tu…). Ammettiamolo: un paese dove un giornalista chiede un’intervista a una persona senza sapere chi è ha qualcosa di fantastico.
Nando
Next ArticleIndulto. Cucù il processo non c'è più